L’arte oltre la guerra: la visione di Atassi Foundation in Siria
Continuano i contenuti di Artribune sulle realtà culturali e sul sistema dell’arte nei Paesi del Medio Oriente. Dopo Teheran, adesso è la volta della Siria. E della condizione delle artiste donne
Da quasi dieci anni la Atassi Foundation lavora per catalogare, preservare e promuovere l’arte siriana del Novecento, senza tralasciare la promozione e il sostegno alla scena contemporanea. Costretta a operare fuori dal Paese a causa dell’instabilità interna, non rinuncia comunque a dare voce agli artisti siriani, in particolare alle donne. Shireen Atassi, figlia dei fondatori e direttrice della Fondazione, ci racconta la storia e la visione di questo grande progetto.
Inrervista alla direttice Shireen Atassi
Come e quando è stata costituita la Fondazione?
Atassi Foundation è nata nel 2015 su iniziativa di Mouna e Sadek Atassi per contrastare le narrazioni stereotipate di guerra, distruzione e migrazione. Mouna è stata una gallerista di lungo corso a Damasco per vari decenni, e la coppia ha sentito la responsabilità di mostrare al mondo il vero volto della Siria. Inoltre, l’arte siriana è davvero orfana, senza mecenatismo statale o privato e i fondatori hanno sentito il bisogno di salvaguardare il patrimonio artistico del Paese, ben sapendo che una tale missione è una responsabilità pesante e non può essere portata a termine da un’unica organizzazione. Ma dovevamo correre il rischio e iniziare in qualche modo.
Quali sono gli scopi della Fondazione?
Il mandato della Fondazione è promuovere e preservare l’arte siriana moderna e contemporanea, farla conoscere, aprire le porte al dialogo e allo scambio e aiutare a crescere i giovani talenti. Organizziamo una varietà di eventi, come mostre, pubblicazioni, ricerche e archivi. Vorremmo essere un ponte tra passato e presente e una piattaforma per valorizzare il patrimonio artistico del Paese. Non abbiamo uno spazio espositivo permanente o una galleria, e questo per una scelta precisa.
Fra i nostri progetti citerei la mostra Syria: Into the light a Dubai nel 2017, una riflessione sulla parabola dell’arte siriana nel XX Secolo che si esprime attraverso la ritrattistica. O ancora, Personal Revolutions del 2019, anch’essa tenutasi a Dubai, sulle donne artiste e la direzione innovativa che hanno saputo prendere in fatto di tecniche e argomenti. La mostra ha documentato il ruolo delle artiste come attiviste politiche e di genere e ha presentato la loro riflessione sull’identità. In fatto di editoria, pubblichiamo online il magazine The Journal, che nella sua forma attuale è un bimestrale di approfondimento su un’area specifica dell’arte siriano o su un singolo artista che stiamo studiando. Pubblichiamo anche edizioni a stampa, come HIWAR FATEH ADONIS (2022), un dialogo fra il celebre pittore Fateh Moudarres e l’altrettanto celebre Adonis.
Abbiamo inoltre creato Modern Art of Syria Archive (MASA), digitalizzando e pubblicando gli archivi di artisti, critici e scrittori del XX Secolo per presentare il loro patrimonio e mettere i materiali a disposizione di ricercatori e curatori; la nostra collezione di arte siriana è unica nel suo genere e si concentra sull’arte siriana del Novecento. Infine, crediamo fermamente nell’importanza di collaborare con altre istituzioni, come l’Aga Khan Museum di Toronto o il British Museum.
Cosa pensa dell’arte contemporanea siriana? Ci sono temi su cui gli artisti sono particolarmente interessati?
L’arte siriana non è nota nel mondo a causa dell’isolamento che la Siria vive dal 1970. Tuttavia, negli ultimi due decenni, con l’emergere del Gulf Cooperation Council come piattaforma per l’arte regionale (in particolare a Dubai), l’arte siriana ha cominciato a farsi conoscere almeno nel Golfo. Dalla rivolta del 2012 e dalla guerra che ne seguì gli artisti contemporanei hanno agito come specchi del tempo, quindi i temi dello sfollamento, della guerra e della distruzione sono stati presenti nel loro lavoro; un modo di elaborare il dolore del momento. Spesso, questa tematica è stata una condizione per ricevere sovvenzioni da parte di organismi culturali esteri. Ma con il tempo i nostri artisti sono diventati consapevoli degli stereotipi e molti di loro infatti sono a lavoro per bilanciare tali narrazioni. Oggi gli artisti siriani sono come gli altri artisti e il loro lavoro è incentrato su tanti altri argomenti come l’identità e il femminismo.
Qual è il ruolo delle donne nell’arte contemporanea siriana?
Come le artiste donne del resto del mondo, per decenni quelle siriane sono state in qualche modo eclissate dalle loro controparti maschili. Negli ultimi decenni, tuttavia, le artiste siriane sono state un pilastro importante nella scena artistica contemporanea; rivoluzionarie nel modo di esprimersi e nel rompere alcune barriere con cui invece ancora lottano le artiste di altri Paesi. Ne abbiamo appunto parlato nella mostra Personal Revolutions, di cui citerei In View di Randa Maddah, un video girato dal tetto della sua casa a Majdal Shams, che collega, attraverso una complessa costruzione di specchi mobili, entrambi i lati della linea di confine che attraversava le alture del Golan siriano dalla Guerra dei Sei Giorni nel 1967. Citerei anche la performance di Kahdija Baker, My Little Voice Cannot Lie, un flusso di parole registrate durante la quale Khadija rimane in silenzio e consente al pubblico di ascoltare il testo diffuso attraverso piccoli altoparlanti inseriti fra i suoi capelli intrecciati.
La Fondazione collabora con le scuole del territorio?
Purtroppo non abbiamo un museo o uno spazio fisico e non lavoriamo con le scuole locali in quanto tali. Anche perché al momento, per ovvie ragioni, non lavoriamo in Siria. Tuttavia, siamo sempre alla ricerca dell’opportunità di iniziare a sviluppare il nostro impegno per la Siria direttamente nel Paese.
Quali sono i progetti per il futuro?
Attualmente siamo molto attivi sul fronte della ricerca. Stiamo lavorando per pubblicare archivi digitali e documenti di altri celebri artisti siriani del XX Secolo; archivi che includono epistolari, cataloghi, fotografie, e oggetti personali di vario carattere. L’obbiettivo è quello di preservare l’eredità di questi artisti e documentare il loro impatto sulla scena artistica siriana. Finora abbiamo pubblicato l’archivio di mia madre con oggetti vari, immagini e ritagli di giornale che coprono circa 100 mostre d’arte che si sono svolte nel periodo 1993-2010, a Damasco. La tappa successiva è l’archivio del maestro Mahmoud Hammad, che ha studiato a Roma negli anni ’50 e che è stato uno dei fondatori dell’Accademia di Belle Arti di Damasco, e ne è stato il preside per oltre 10 anni. Questo archivio sarà pubblicato in più fasi, la prima delle quali nel mese di maggio. Oltre a questo, stiamo lavorando a una serie di iniziative espositive per il prossimo biennio; fra queste, due grandi mostre: una personale e una collettiva.
Cosa pensa che la cultura possa fare per promuovere la pace e il dialogo tra gli esseri umani?
La Fondazione è un esempio vivente della nostra fede nell’importanza della cultura per lo sviluppo della società; ma anche della nostra forte convinzione che la cultura unisca le persone nonostante le differenze. In questo momento storico, con le scioccanti tendenze isolazioniste, binarie e protettive, e con i conflitti aperti in tutto il mondo, crediamo che l’arte e la cultura siano fondamentali per aprire canali reali di dialogo e comprensione.
Niccolò Lucarelli
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