Il rapporto tra l’uomo e la natura in rivolta. Spiegato attraverso il mito
Ancora nel corso di questa estate 2023 c'è stata più di una conferma degli effetti del progressivo e preoccupante cambiamento climatico. Una riflessione su com’è cambiato il rapporto tra l’uomo e la natura nel tempo
Tsunami, terremoti, alluvioni di proporzioni bibliche, riscaldamento globale, non sono più scenografie di film catastrofici, ma la rivolta in atto della natura. Il fragile equilibrio della Terra impatta contro la superbia irredimibile del devastante mito dello sviluppo.
“Il culto della “bellezza della natura” somiglia sempre più a una ferita che si apre come le fauci mostruose di un Leviatano”
La natura nel mondo classico
Nella cultura occidentale, ogni riflessione sulla natura e sul paesaggio non può prescindere dalle suggestive descrizioni di Omero. La sua sensibilità paesaggistica riesce a trasmetterci qualcosa del brivido inumano che provò Ulisse durante i suoi interminabili viaggi. In altri luoghi dell’Odissea il paesaggio prende corpo in metafore come “L’Aurora dalle dita rosate” (inizio XII canto). Un cliché al tempo di Omero. Eppure, estremamente significativo se, come afferma Platone, Omero è “l’educatore della Grecia”. C’è in Omero tutta una trasmutazione della natura in giardino. Un lavoro di trasformazione del caos in forma.
Da dove viene Artemide (Diana ne è la variante romana)? Se ne discute molto. La sua iconografia in epoca arcaica ricorda per molti aspetti la figura della grande Dea asiatica o cretese detta “Signora degli animali”. Il suo ambiente? Le montagne, le colline, i boschi, la vegetazione fitta, le terre incolte (agros) che si trovano al di là dei campi vicini alle città, oltre i confini del territorio conosciuto.
La selvaticità è il suo attributo principale, che si apre a un’alterità radicale fino alla morte, perché dove l’uomo tenta di possederne il corpo, come è successo al cacciatore Atteone, che la sorprese nuda mentre faceva il bagno, paga con la morte. “La natura ama nascondersi”, dice un epigramma di Eraclito. Scoprirne il segreto può essere fatale. Così Atteone viene trasformato in cervo e sbranato dai suoi stessi cani. Da predatore a preda. Ma tra queste figure mitologiche non va dimenticato Pan. Metà caprone, metà uomo. Il flauto è il suo strumento di seduzione e di cattura. Il Dioniso di Nietzsche è interamente ispirato da questa figura. Per cogliere Pan – la natura selvaggia – dobbiamo prima perderci in essa. Farci prendere dalla natura che è dentro di noi, risvegliarla dal sonno colpevolizzante che la destina agli Inferi.
Plutarco nel suo scritto L’oracolo al tramonto dice: “Pan, il grande, è morto”. Eusebio – allievo di Origene – nel III secolo d.C. riprenderà questo detto famoso di Plutarco facendone il simbolo del paganesimo e del Male.
Il rapporto tra l’uomo e la natura. Da Ulisse a Robinson
La “cultura” si moralizza e reprime la natura. Nasce la vergogna di essere pezzi di natura. Che cos’è la vergogna? È un atto riflessivo, una relazione con se stessi. Ma una relazione che fallisce per principio. Perché colui che si vergogna della propria natura si trova al tempo stesso identico e non identico. Sono io, tuttavia non mi riconosco.
Dopo Eusebio, tutto ciò che è natura è associato al pericolo, al male, al demonio. Ma, morto Pan, anche la ninfa Eco muore. Eco è il riflesso evanescente di Pan. Quando narciso la rifiuta preferendo l’immagine riflessa in uno specchio d’acqua, rifiuta la forma per l’illusione.
Oggi non abbiamo più una Eco che possa incantarci con le sonorità seducenti del flauto di Pan. L’astuto Ulisse che con la furbizia inganna le potenze della natura è il più recente mito di Robinson, che crea una natura tutta per sé; sono i poli estremi del nostro immaginario che violenta la natura.
Uno se l’annette attraversandola, l’altro separandola (l’isola lontana e irraggiungibile). Ulisse la perimetra e la domina con l’astuzia, come ieri facevano i colonialisti travestiti da gentleman e oggi i fautori del libero mercato. Robinson, invece, se la tiene tutta per sé, come in una bolla di vetro, separata da tutto e da tutti. Il suo pronipote è Bill Gates, il quale alcuni anni fa ha dichiarato che gli piacerebbe essere il proprietario del mondo per poterci giocare come un bambino fa con un pallone!
Robinson è il primo mito moderno della natura sotto vetro, espurgata dei suoi elementi irriducibili al dominio e al possesso. Il dominio sulla natura non ricorre più a figure numinose, li fabbrica direttamente, come il cemento, tra le altre cose, che deforma e devasta ogni cosa su cui è messo. Oggi si potrebbe vedere nell’uso senza limiti di questo materiale – il più usato dopo il petrolio – una variante contemporanea del mitico cacciatore che violentava la natura. E nel criptofascista Le Corbusier (collaborava con i movimenti fascisti francesi Fasceau e Redressement National) uno dei suoi cantori più illustri.
Il culto della “bellezza della natura” somiglia sempre più a una ferita che si apre come le fauci mostruose di un Leviatano, che si vendica ingoiando ferocemente tutta l’indifferenza mostrata nei suoi confronti, come in Emilia-Romagna.
Marcello Faletra
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #73
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