Palazzo Pretorio a Prato. La performance di Luigi Presicce anima i quadri
Abbiamo incontrato l’artista alla vigilia della performance a Palazzo Pretorio a Prato, realizzata insieme alla sua “Accademia dell’Immobilità”. Ecco una piccola guida per comprenderla meglio e partecipare.
Luigi Presicce (Porto Cesareo, 1976) animerà, in una performance unica e suggestiva, i quadri di Palazzo Pretorio a Prato che si trasformeranno, come di consueto nella pratica dell’artista, in tableau vivant. Presicce, in collaborazione con la sua Accademia dell’Immobilità, presenterà il frutto di un processo partecipativo, in parte aperto al pubblico, venerdì 14 dicembre alle 19. Abbiamo incontrato l’artista e gli abbiamo chiesto di raccontarci cosa succederà nell’ambito di questo progetto all’interno del format Pretorio Studio a cura di Veronica Caciolli.
Cos’è l’Accademia dell’Immobilità?
Né più e né meno di una scuola itinerante. Nata nel 2012 si è spostata in vari luoghi d’Italia, tra cui Lecce, Bologna, Capri, Firenze. È un progetto didattico aperto a ogni tipo di studente, senza distinzione di età, sesso, classe sociale, professione. Si impara l’arte della concentrazione, della memoria, dell’armonia attraverso esercizi che stimolano l’ingegno e la capacità di reagire a determinate domande. Il tutto spesso, ma non sempre, è finalizzato alla realizzazione di una performance, o meglio di un tableau vivant, quindi una serie di esercizi che mirano all’immobilità, ma che di immobile non hanno nulla.
Cosa sta accadendo in questi giorni a Palazzo Pretorio?
Di solito si parte da un’immagine realizzata dai ragazzi sotto dettatura. Questi disegni scaturiscono dalla comprensione semantica di una miniatura del Quattrocento che leggo loro. Nessuno sa da quale libro queste miniature provengano, ma il mio è un riferimento a un testo ben preciso che nascondo gelosamente con una copertina anonima. Da questi disegni si parte per indagare la scena a livello drammaturgico e attoriale.
Gli studenti possono interagire?
Sì, ogni studente può suggerire modi per aggravare il quadro che si ha nelle mani. La mia è una guida verso il loro punto di vista e le mille possibilità che possono sorgere da una semplice immagine riletta. Nel caso di Palazzo Pretorio il senso della ricerca è completamente ribaltato, non ci sono immagini dettate, ma l’intera collezione del Museo a parlare agli studenti. Loro devono solo scegliere l’opera che più li colpisce e stimola a creare un dialogo con la stessa. Non si tratta di scimmiottare l’iconografia data, ma porre un ponte narrativo tra ciò che l’immagine racconta e ciò che ci sarebbe potuto essere prima o dopo l’istante in cui l’immagine è colta.
Poi ci sono i costumi…
Certo, l’altra novità è proprio questa: i costumi questa volta vengono realizzati direttamente in loco, Giovanni Donadini in arte Caned Icoda ha piazzato una sua postazione con tanto di macchina da cucire e pile di stoffe direttamente nella sala delle grandi pale e li supplisce a quelle che sono le esigenze dei ragazzi (differentemente da quando di solito riceve i miei disegni e realizza tutto in studio). Il museo è stato letteralmente invaso, è questo che sta accadendo. Il museo è la casa degli artisti si dice spesso a sproposito…
La presentazione del progetto parla di quadri che si animano in tableau vivant: quali opere hai scelto e perché?
Sarebbe difficile ora elencare ogni autore che ha stimolato all’apertura di un dialogo, non è infatti l’autore a essere coinvolto quanto il piano narrativo dell’opera. Sebbene vi sia chi sta lavorando a stretto contatto con Filippino Lippi o altri autori affini, di fatto l’idea scaturisce da un impianto iconografico di tipo biblico, mitologico o addirittura astratto per quanto riguarda la donazione dello scultore Jacques Lipchitz (chi è avvezzo a leggere di Curzio Malaparte sa di chi parlo). La collezione comprende diversi piani, non solo tematici, che da subito parlando con Veronica Caciolli, che ha promosso questa edizione dell’Accademia, sono emersi come fonte inesauribile di più interventi all’interno dell’intero palazzo. Non è prevista infatti la realizzazione di un’unica performance corale come in passato, ma diversi interventi sui differenti piani del Pretorio, che alla fine formeranno una sorta di predella anti narrativa.
L’idea del gruppo e della formazione stanno diventando preponderanti nella tua ricerca: da l’esperienza di Lu Cafausu alla Scuola di Santa Rosa, fino all’Accademia dell’Immobilità. In che modo l’idea del “passaggio di conoscenze” e dell’agire insieme si coniugano a quella che è la tua pratica?
Le tre esperienze che hai citato sono state in questi anni formative principalmente per me. Non parto dall’idea di insegnare qualcosa, quanto di guidare qualcun altro a trovare da solo una soluzione che sia prima di tutto stimolante per lui stesso. Chi ha partecipato al Simposio di pittura alla Fondazione Lac o le Mon, o chi frequenta la Scuola di Santa Rosa, sa perfettamente che non ho mai imposto la mia visione a nessuno, ne intendo farlo in futuro. La libertà di apprendere è una condizione che tutti dovrebbero imporsi, soprattutto quando le scuole o le accademie non forniscono nozioni tali da poter essere combattivi una volta catapultati per la strada. Di fatto alcuni dei miei “studenti” sono anche i miei amici più fidati e indispensabili collaboratori. Come artista non ho assistenti, ma non passa giorno in cui non ci sia occasione di confronto con le persone che più mi sono vicine. Ci sono alcuni tra questi che partecipano ai miei corsi estivi in Fondazione, alla Scuola di Santa Rosa e all’Accademia dell’immobilità. Si potrebbe parlare quasi di “setta” se non fosse una parola forviante!
Come mai hai voluto dare la possibilità al pubblico di accedere alle prove?
Come tutti sapranno ormai la mia pratica è abbastanza chiusa, quasi riservata a un pubblico di soli eletti (non in senso gerarchico). Ho lasciato che il pubblico del Museo potesse visitare le sale in cui avvengono gli esercizi semplicemente perché questi vengono svolti in ogni angolo di Palazzo Pretorio, ma soprattutto perché quello che uno potrebbe vedere in queste “prove” non ha nulla a che fare con l’esecuzione finale, che sarà come tutte le volte un’epifania, perfino per i guarda sala che ci hanno osservato tutto il tempo.
Questa esperienza sta portando a te e al tuo gruppo un valore aggiunto? Se sì, quale?
Non è diverso da quanto ho detto sopra, tra me e i miei ragazzi si è creato un rapporto di fiducia reciproca. Molti esercizi si basano sull’affidarsi completamente all’altro, ma se l’altro non c’è o tentenna, si rischia di rompersi qualche osso. Molti quando arrivano all’Accademia dell’immobilità non pensano neanche lontanamente di riuscire a fare quello che io chiedo loro, però quando poi, con assidua frequenza, notano che sanno camminare agevolmente con una ciotola colma d’acqua in testa, tenendo dei bastoni in equilibrio sulle mani e cantando allo stesso tempo, allora lì tutto cambia e si passa a un livello superiore di consapevolezza e a un nuovo esercizio ancora più complesso.
Con quali risultati a tuo parere?
Sono certo che quello che si fa, finisca per formare delle persone con dei valori, armonici e morali, questa non è solo una mia convinzione, lo vedo nell’impegno, nello sforzo che tutti fanno per risolvere gli esercizi e creare uno stato di grazia che non si ferma solo nei locali dell’Accademia dell’immobilità, ma continua anche fuori, nelle case, per strada, in mezzo alla gente.
La tua ricerca è in continua evoluzione: negli ultimi anni grandi trasformazioni la stanno attraversando. Ci racconti in che modo?
Non è un mistero che io sia un pittore e come tale guardo tutte le cose, con senso armonico, compositivo, narrativo e coloristico. Faccio fatica ad affrontare l’idea che il mio lavoro subisca degli sbalzi, anche ora che performance, pittura e scultura fanno parte del mio linguaggio. Affinare un linguaggio vuol dire prendersi delle libertà inaspettate, è questo quello che faccio continuamente. Ho molto da imparare, ma ho lasciato la porta della scoperta completamente spalancata, anzi a dire il vero ne ho divelto i cardini.
-Santa Nastro
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