Coronavirus e performance art. Gli scenari futuri
Questa pandemia sta facendo diventare la logica del distanziamento sociale una delle componenti chiave della nostra vita, destinata a lasciare un segno importante anche nel nostro futuro. Quali scenari si apriranno, dunque, per le arti performative, che fanno della fisicità e della presenza i loro capisaldi? Qui vi proponiamo le riflessioni di Lori Adragna, professionista del settore.
Qualche giorno fa, leggendo Cronaca della psicodeflazione, articolo-diario di Bifo (aka Franco Berardi) sui tempi del Coronavirus, mi ha colpito lo scenario paventato dall’autore nel caso la pandemia continuasse: quello di un permanente isolamento degli individui, che porterebbe le nuove generazioni a interiorizzare il “terrore del corpo altrui.” Questa condizione psicopatologica, definita afefobia o aptofobia (dal greco ἄπτω “toccare” e φόβος “paura”), dovuta a un’ipersensibilità prossemica subconscia, diventerebbe, in tal modo, prassi. A parte che il contatto fisico riveste un ruolo primario nella vita, contribuendo in maniera determinante all’evoluzione del pensiero, del cervello, della stessa identità, ho provato a immaginare cosa comporterebbe ciò nel mio campo: che ne sarebbe dei luoghi di aggregazione dedicati alle arti, del grande pubblico che affolla i musei e le fiere di tutto il mondo, degli spettacoli live, della performance art? Riguardo a quest’ultima, penso al suo assunto di base: la performance coinvolge il corpo: quello dell’artista, sì, ma non solo, anche quello dello spettatore o entrambi insieme. Si manifesta come azione che si svolge nel tempo e nello spazio innescando una relazione tra artista e pubblico. E se il rapporto con lo spettatore venisse a mancare, cosa ne sarebbe del processo inter-corporale di connessione e comunicazione di cui parla l’antropologo Victor Turner e che si configura con la compresenza del performer e dell’astante, permettendo al primo di ricreare quelle condizioni relazionali “originarie” nella mente del secondo, producendo quello stato nel quale l’interazione avviene attraverso l’immediatezza, intesa come “l’essere l’uno con l’altro, un fluire dell’Io al Tu”?
LA TECNOLOGIA DIGITALE
Vero è che già negli Anni Ottanta, la pandemia del XX secolo, l’AIDS, gettando le basi per un diradarsi del contatto fisico, specie quello sessuale, insieme alla quantità esponenziale di nuove tecnologie in uso, ha contribuito al lancio e alla affermazione di piattaforme di comunicazione senza contatto: Internet. La tecnologia digitale, poi, ha filtrato la pratica delle prestazioni quotidiane. I computer sono diventati parte integrante della performance nelle fasi di produzione pre e post, il ruolo dei media si è evoluto innescando un dibattito sulla natura stessa della performance (Auslander 2008). Parallelamente, l’impatto della tecnologia digitale sull’arte performativa si riflette oggi in conferenze, workshop e pubblicazioni accademiche.
Sarà questa la nuova strada? L’ultimo decennio ha visto un periodo straordinariamente intenso di sperimentazione della tecnologia informatica nelle arti dello spettacolo. I media digitali sono stati sempre più integrati negli spettacoli dal vivo e sono emerse nuove forme di performance interattiva nelle installazioni partecipative, su CD-ROM e sul Web. Steve Dixon nel suo libro Digital Performance (2007) descrive l’evoluzione di queste pratiche, analizza i contesti teorici, artistici e tecnologici di questa forma di new media art. trovando precursori delle odierne esibizioni digitali nelle forme passate di tecnologia teatrale che vanno dal deus ex machina del dramma greco classico al Gesamtkunstwerk di Wagner (concetto dell’opera totale) e trova parallelismi tra il lavoro contemporaneo e le teorie e le pratiche del costruttivismo, Dada, Surrealismo, Espressionismo, Futurismo e pionieri multimediali del ventesimo secolo.
COME SI STA ORGANIZZANDO IL MONDO DELL’ARTE
Ovviamente nessuno può conoscere il futuro e, lungi dal voler sembrare catastrofista, sono la prima ad augurarmi che si possa tornare presto alla normalità, ma c’ è un dato di fatto: al momento l’unica via per far fronte al contagio resta il “distanziamento sociale” che, come sostiene un’analisi del MIT Technology Review, durerà ben più di qualche settimana. E allora? Vediamo come si sta organizzando il mondo dell’arte.
Tra le tendenze monitorate più da vicino vi è il passaggio al coinvolgimento online, alle performance di streaming e ai tour dei musei online di tutto il mondo: dal British Museum di Londra al Museo nazionale di arte moderna e contemporanea di Seul: si può fare con Google Arts & Culture che propone anche una discreta sezione sulla performance art.
Istituzioni come il MAXXI stanno proponendo approfondimenti virtuali come quello di Hou Hanru sulla performance ‒ The Back, realizzata lo scorso anno al Pantheon da Lin Yilin, l’artista cinese ha anche realizzato una micro performance video per #iorestoacasa ‒ che si alternano a virtual tour e a interessanti lezioni come quella con Teresa Macrì: Il corpo sconfinato. Da Marina Abramović a Tino Sehgal, o con Gianfranco Maraniello: Il teatro della vita.
Il MAMbo di Bologna non è da meno trasmettendo in streaming dal suo canale YouTube la performance Bonjour dell’artista Ragnar Kjartansson, inclusa nella mostra collettiva AGAINandAGAINandAGAINand, dove il curatore Lorenzo Balbi aveva selezionato opere sul tema del loop, che avrebbe dovuto proseguire fino al 3 maggio 2020 e ora è ovviamente chiusa.
FIERE E GALLERIE
E le grandi fiere come reagiscono alla devastante situazione? Si va da Manifesta 13 che, cancellata l’inaugurazione del 7 giugno a Marsiglia, consiglia di immergersi nel suo universo attraverso podcast e interviste, nonché regolari flashback delle precedenti edizioni, in attesa di pronunciarsi sulla prossima data di apertura (che dovrebbe essere annunciata dopo il 15 aprile); alla fiera d’arte di Hong Kong, che sta debuttando sul web, nella forma digitale delle Viewing Room. Sono spazi espositivi virtuali dove le gallerie possono esporre le opere dei loro artisti. In mostra online, per il pubblico di collezionisti, compratori ed estimatori. Ci sono oltre 2000 opere, tra dipinti, installazioni, video e lavori digitali. Se la visita virtuale non provoca le stesse emozioni delle opere d’arte live, il vantaggio può essere quello di avvicinare gallerie difficili da raggiungere anche all’interno di eventi fieristici: una soluzione sostenibile dal punto di vista dell’impatto ambientale. Le Viewing Room, nate come piattaforma alternativa alla chiusura dell’evento di Hong Kong, potrebbero diventare nelle edizioni future di Art Basel un supporto aggiuntivo che affiancherà le mostre.
Insomma le iniziative esplose sul web sono davvero tante. La vera domanda, tuttavia, rimane, a mio avviso, se e in che modo tale coinvolgimento online avrà il potere di cambiare il pubblico. L’ondata virtuale che ci ha travolti deprimerà una futura partecipazione dopo che la minaccia virale si sarà attenuata? Le nuove abitudini soppianteranno quelle vecchie? Oppure l’attuale assenza forzata sarà da stimolo, una volta sconfitta la pandemia, adun grande ritorno degli spettatori desiderosi di stare insieme come comunità? Personalmente tifo per questa ultima opzione.
Un’ulteriore riflessione va fatta in merito alla fruizione delle opere live. Nonostante le sperimentazioni e gli sconfinamenti, la diretta streaming di una performance è pratica ancora abbastanza inconsueta nel mondo dell’arte. Il lavoro video di un artista è raramente caricato per intero sul suo sito ufficiale, per timori di abusi e copie, ed è praticamente quasi impossibile da vedere altrove. Le performance e le opere d’arte generativa che utilizzano fattori legati al “qui e ora” dovrebbero quindi nascere come fruibili da qualsiasi parte del mondo, in un dato momento e in uno spazio virtuale specifico, che potrebbe essere un sito web, un social network o una posizione GPS mediante realtà aumentata.
QUALE POTREBBE ESSERE LO SCENARIO FUTURO
Proviamo a basarci su ciò che esiste già di concreto nel mondo della tecnologia per capire quali cambiamenti radicali potrebbero sopraggiungere nei prossimi anni. Secondo Antonio Laudazi, fondatore di Marte5, (agenzia specializzata in trasformazione digitale e tecnologie immersive), l’irruzione della virtualità nelle nostre vite appare non solo come probabile, ma inevitabile. Sarebbero dunque maturi i tempi per la creazione di una nuova arte tra le forme di espressione già note agli esseri umani: pittura, scultura, video arte, arte performativa… e poi? Solo derivati. La realtà virtuale potrebbe invece generare un ibrido del tutto nuovo; una particolare esperienza a metà tra il videogame e il sogno, e che oggi non ha ancora un nome. Grazie al suo livello di interattività, verosimiglianza e alla possibilità di progettare ogni aspetto dell’ambiente nel quale le persone potranno immergersi, l’esperienza in VR permetterebbe di fare visitare luoghi inesistenti, di vivere un ricordo, di ricostruire un sogno, di creare e mettere in scena cose che al momento non riusciamo a immaginare.
‒ Lori Adragna
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