Il malato Covid che attraversa Milano: è la performance di Nicola Mette
Si chiama Urbi et Orbi, come l’epocale benedizione che il papa diede a marzo 2020 davanti a una piazza incredibilmente vuota. È stata realizzata per sensibilizzare il pubblico sul pericolo di contagio tutt’ora esistente e per denunciare la cattiva gestione dell’emergenza sanitaria che ha mietuto vittime.
Da San Babila a Piazza Gae Aulenti, passando per Duomo, Galleria Vittorio Emanuele II, Garibaldi e soffermandosi davanti a importanti sedi istituzionali di Milano, come la sede della Regione Lombardia. È questo il percorso compiuto la mattina del 4 luglio 2020 dall’artista di origine sarda Nicola Mette, a piedi nudi e con indosso solo un camice ospedaliero, trascinando con sé un carrello della flebo con un ago infilato nel braccio. Una visione surreale per i passanti che hanno incrociato nel tragitto la sua figura, inquietante come un malato appena scappato da un ospedale. Senza sapere che in quel momento stavano assistendo – e partecipando – a una performance tesa a lanciare un messaggio sociale di riflessione e responsabilizzazione nei confronti del particolare momento presente e di quello tragico che ci siamo da poco lasciati alle spalle.
URBI ET ORBI, LA PERFORMANCE DI NICOLA METTE PER IL CENTRO DI MILANO
Il titolo scelto per la performance è Urbi et Orbi e fa riferimento a una delle immagini di questo 2020 che passeranno alla storia: ovvero l’inedita benedizione di Papa Francesco impartita il 27 marzo dinnanzi a una piazza San Pietro totalmente deserta (un fatto epocale di cui avevamo parlato anche sulle nostre pagine). Ora che il dramma della pandemia si è forse attenuato, assieme alle misure restrittive del lockdown, si sta tentando un ritorno alla normalità, spesso dimenticando i danni causati dal virus qualche mese fa. Con questo gesto, invece, Mette ha voluto ricordare e denunciare tutti coloro che fino all’ultimo hanno negato il pericolo, sottostimato i rischi, abbandonato gli anziani nelle RSA, lasciato il personale senza le misure protettive adeguate. Una cattiva gestione dell’emergenza di cui le conseguenze sono state pagate da un alto numero di vittime, con particolare riferimento alla Lombardia. “Le reazioni della gente sono state disparate: qualcuno mi ha chiesto se fossi scappato dall’ ospedale, qualcun altro se andasse tutto bene, altri ancora se volessi sedermi in metropolitana”, afferma l’artista che, raggiunto da Artribune, spiega quale siano state le reazioni del suo “pubblico inconsapevole”. “Tuttavia, non si sono create vere reazioni di panico sociale. Io ero molto tranquillo, sereno e deciso e le persone in qualche modo hanno visto questo, nonostante portassi con me una flebo vera. Pochi per strada si allontanavano. A reagire male è stato un gruppo di mamme con i loro figli quando mi ha incrociato nella carrozza della metro: ho visto i loro occhi terrorizzati. Alcuni del personale dell’ATM (Azienda Trasporti Milanesi ndr) mi hanno chiesto se stessi bene e da dove fossi arrivato. Io non parlavo con nessuno, ero solo con me stesso, come le persone che la regione Lombardia ha lasciato morire”.
-Giulia Ronchi
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