Performing PAC a Milano in versione estesa sul tema musica. Intervista a Diego Sileo
Da Laurie Anderson ai Depeche Mode. Fino al 13 settembre arte e musica si incontrano al PAC di Milano che ospita una versione estesa del festival interdisciplinare. Ne abbiamo parlato con il curatore Diego Sileo.
“Da diversi anni ormai il PAC ha intrapreso un percorso espositivo molto ben definito, raccontando spesso gli aspetti più difficili, duri e controversi della nostra contemporaneità. Le nostre mostre sono quindi anche degli strumenti di conoscenza e di approfondimento che possono aiutare il pubblico ad andare oltre una tradizionale fruizione fisica ed emotiva dell’opera d’arte. Ad un certo punto però ci siamo resi conto che sentivamo il bisogno di un appuntamento ulteriore: un momento che non fosse legato a un artista in particolare, ma che si proponesse come una possibilità più diretta di confronto, di analisi, di riflessione e di dialogo su un tema preciso e attuale sia nell’ambito più propriamente artistico sia in un ambito più sociale e politico. Una piattaforma aperta non solo agli addetti ai lavori, ma anche al pubblico di non specialisti, un format dedito all’interdisciplinarietà delle arti visive”. A raccontarsi ad Artribuneè Diego Sileo, curatore del PAC di Milano e della manifestazione Performing Pacche, dopo lo slittamento di date dovuto al Covid, riapre con una versione estesa fino al 13 settembre, rispetto ai canonici tre giorni che ogni anno vedono il Padiglione di Arte Contemporanea di Via Palestro impegnato nell’analisi, attraverso incontri, azioni e proiezioni, di un tema nevralgico nella cultura delle arti performative. Quest’anno il focus scelto è il rapporto tra arte e musica che Sileo ci ha illustrato così:
Il focus di questa terza edizione è sulla musica…
Dopo una prima edizione incentrata sul corpo e le sue mutazioni e una seconda edizione sul genere e sulle identità, quest’anno abbiamo pensato al rapporto tra arte e musica, al loro dialogo, alla loro fusione e alla loro reciproca e ben consolidata influenza. Un incontro che produce una rivelazione che potremmo non essere in grado di spiegare o trasmettere, una rivoluzione che ci raggiunge e ci travolge quotidianamente molto più fortemente di quanto non si possa pensare.
Qual è il suo taglio curatoriale?
Il taglio curatoriale tipico di ogni edizione di Performing PAC è duplice: in primo luogo c’è una componente di indagine, di ricerca e di studio sugli archivi del PAC, sulla storia delle esposizioni e sugli interventi realizzati appositamente dagli artisti per il nostro spazio. Da qui partiamo per individuare il tema cardine di ogni edizione, il tema intorno al quale sviluppiamo l’intero programma. Questo primo aspetto nasce dall’esigenza di voler valorizzare la storia del PAC e renderla anche nota alle nuove generazioni, evidenziando il ruolo di sperimentazione e d’avanguardia che il PAC ha da sempre portato avanti, contribuendo anche allo sviluppo culturale della città.
In secondo luogo?
Cerchiamo di non tralasciare un taglio curatoriale più divulgativo ed estremamente accessibile a tutti, molto immediato e diretto, di facile fruizione. L’idea è proprio quella di riuscire a far interagire quanto più possibile il pubblico con gli artisti invitati e con tutti gli altri protagonisti chiamati a costruire il palinsesto della nostra iniziativa. Mi piace sempre pensare a Performing PAC come a un progetto collettivo di vasto respiro.
Quali sono state le criticità incontrate dal vostro format a causa del Covid-19?
Innanzitutto abbiamo dovuto rivedere il format originario, che prevedeva tre giornate di eventi live, dilatando la programmazione di questa terza edizione su tutta l’estate con diverse proiezioni e ripensando talk e performance per una fruizione in streaming concentrata a settembre.
Quali misure avete adottato?
Grazie al nostro partner Vulcano Agency, che ci supporta in tutte le attività digitali, abbiamo sostituito la nostra storica guida su carta con una versione fruibile gratuitamente dallo smartphone di ciascun visitatore. La guida si è arricchita in questo modo di contenuti video e di interviste audio agli artisti. Si potrà accedere facilmente ai contenuti seguendo le istruzioni all’ingresso, tramite codice QR oppure digitando un link diretto. Siamo curiosi di scoprire come reagirà il pubblico a questa novità, e se il feedback sarà positivo l’idea è quella di affiancarla definitivamente alla guida cartacea in futuro. Anche le modalità di fruizione dello spazio sono inevitabilmente cambiate. La mostra sarà visitabile dal giovedì alla domenica solo su prenotazione dalle 11 alle 20. Data la natura open space del PAC, abbiamo modificato anche i percorsi creando un itinerario tra le sale e i due piani, e limitando l’accesso alle singole proiezioni.
Ci dai qualche highlight?
Si parte idealmente da Laurie Anderson, icona dell’arte multimediale, ricostruendo attraverso materiali d’archivio la sua mostra antologica al PAC nel 2003 The Record of the Time, curata da Jean Hubert Martine Thierry Raspail, e proiettando per la prima volta la documentazione video della performance Duets On Iceproposta dall’artista newyorkese in occasione dell’opening. Da qui il percorso espositivo si sviluppa attraverso i lavori di cinque artisti che utilizzano suono e musica nella loro ricerca, tra cui Vers l’Europa deserta, Terra Incognita(2017) del duo Invernomuto(Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi) che si muove in una periferia allargata che si espande dall’Italia alla Francia con protagonisti due giovani attori della crew dei PNL, duo musicale della nuova scena rap francese; e Our Hobby Is Depeche Modedi Jeremy Deller con Nick Abrahams (2006) che racconta la storia di fede assoluta e devozione dei fan dei Depeche Mode: una riflessione bizzarra, divertente, triste e spesso toccante su come il pubblico sposi intimamente la cultura pop, rendendola parte della propria vita. Chiude tutta questa indagine sonora una selezione di videoclip musicali diretti da sette tra i più importanti e visionari registi contemporanei con le star della musica degli anni Novanta e Duemila: di sicuro la testimonianza più pop dell’incontro tra musica e arte contemporanea, che in maniera non casuale abbiamo deciso di proporre in questa stagione di ripresa post pandemia, sostenendo e promuovendo la forza, la resistenza e la vitalità delle arti contemporanee.
– Claudia Giraud
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati