Parola e arte in tre azioni performative
Quanto conta la parola quando si entra nella dimensione della creatività? Da Romeo Castellucci all’ultima produzione della compagnia Laminarie in scena a Bologna fino al 7 novembre, Claudio Musso prova a interrogarsi su una questione tutt’altro che semplice
Nel 1975 l’artista Fabio Mauri dà alle stampe Linguaggio è guerra. Si tratta di un libro-opera che negli anni successivi, sotto forma di installazione fotografica, viene esposto in diversi musei italiani e stranieri. Un’opera capitale, un condensato della poetica dell’artista: attraverso la timbratura di immagini belliche tratte da riviste inglesi e tedesche si attua un’appropriazione e insieme uno svelamento della retorica politica.
IL TERZO REICH DI ROMEO CASTELLUCCI
Ciò che continua ad assillarmi è proprio il titolo, quell’accostamento quanto mai azzeccato, quanto mai incisivo, tra l’utilizzo del linguaggio e la strategia della battaglia. Lo stesso titolo che mi è balenato alla mente come didascalia dell’installazione-spettacolo Il Terzo Reich di Romeo Castellucci presentata di recente al Santarcangelo Festival. Dopo la coreografia di Gloria Doriguzzo, il fruitore viene letteralmente aggredito (e di certo non aggradato) dalla proiezione lampeggiante di tutti i lemmi presenti nel vocabolario della lingua italiana.
Che si tratti di un bombardamento è chiaro fin da subito, la velocità con la quale appaiono e scompaiono le parole accelera fino all’illeggibilità seguita passo passo dal suono creato da Scott Gibson, difficile da descrivere se non accomunandolo a una sequenza interminabile di violenti scoppi. La parola è dunque imprigionata, vittima della sua stessa forma, anzi della forma che è costretta a prendere per essere vista, trasmessa.
1X2 A BOLOGNA
Parola che è protagonista anche nel progetto 1X2 del “collettivo temporaneo” formato da Flavio Favelli, Nanni Menetti e Fabiola Naldi, in cui l’improvvisa e spontanea (?) pittura congruente dei due artisti diventa il pretesto per una riflessione linguistica, o meglio grammaticale. All’ostensione delle due tele in questione nelle sale delle Collezioni Comunali d’Arte del Comune di Bologna, infatti, si approssima la lettura animata di un atto notarile nella vicina Cappella Farnese e l’affissione pubblica di un manifesto realizzato da eee studio. È quest’ultima parte a offrire una semplice quanto straniante rilettura di un elenco di concetti. Capita così che, nella prima colonna che segue l’ordine alfabetico, ‘eternità’ preceda ‘frequentazioni’, mentre nella seconda, ordinata per lunghezza, ‘eternità’ segua ‘infanzia’. Non è solo il gioco degli abbinamenti a creare dinamitardi cortocircuiti, le scintille si sprigionano dalla forzatura dei limiti dell’opera, della sua presentazione e dei ruoli degli autori.
“Che si tratti di un bombardamento è chiaro fin da subito, la velocità con la quale appaiono e scompaiono le parole accelera fino all’illeggibilità seguita passo passo dal suono creato da Scott Gibson”.
Intersezioni inevitabili anche parlando dell’ultima produzione della compagnia Laminarie: Invettiva inopportuna di e con Febo Del Zozzo. Prima di tutto una frase, abbagliante e perentoria: “Il teatro valorizza gli imprevisti”. Il motto desunto da Claudio Meldolesi diventa, in scena e grafia, una struttura rotante, un astro luminescente. I movimenti e le traiettorie dell’unico attore cercano di divincolarsi dalla rete di corde che avvolge lo spazio scenico come una gabbia, fino all’apice: la caduta del cielo, della graticcia precaria che regge la struttura effimera. L’uomo è nuovamente solo, con le sue parole: “A un certo punto viene il giorno dove si sfiora il fondo”.
‒ Claudio Musso
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #62
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