A Milano la performance d’artista che evoca un rettilario
Sara Leghissa mette in scena la sua performance sonora nella stazione ferroviaria di Milano Lancetti. L’obiettivo? Creare nuove dinamiche tra chi osserva e chi è osservato
Raggiungiamo lo Spazio Serra alle 17 del 14 aprile 2022: non un orario particolarmente affollato, al contrario. Lo spazio si trova nella stazione ferroviaria di Lancetti, in una delle tante periferie della città. Siamo qui per prendere parte a Rettilario, performance di Sara Leghissa, già presentata quest’anno al Festival Parallèle di Marsiglia.
Ci vengono fornite delle cuffie con l’invito ad ascoltare fino alla fine la traccia audio. Sentiamo i suoni del treno, le voci, i passi di una stazione, grazie alla tecnica del foley, quella pratica del rumorista cinematografico che attinge dai suoni del quotidiano per doppiare i film.
Poi, accondiscendenti, ci lasciamo rinchiudere nella teca dello Spazio Serra. Come in un rettilario, siamo protetti dal vetro, ma esposti allo sguardo di chi passa e va. E allora ci comportiamo di conseguenza, in parte come esseri rinchiusi e un po’ come esseri privilegiati. Ci atteggiamo. Ma, essendo rinchiusi in una teca, anche noi possiamo osservare e da qui lottare contro le regole introiettate. “Non guardare la gente”. E invece qui possiamo farlo. “Non toccare”. E invece qui possiamo toccare quello che sembra essere messo lì apposta per noi. Non ne siamo sicuri, ma qualche coraggioso esplora questi materiali che ricreano un ambiente pseudonaturale. Come in un rettilario.
LA PERFORMANCE DI SARA LEGHISSA A MILANO
Poi Sara Leghissa, entra e si rinchiude con noi. Un microfono in mano con un sostegno che le permette di avvicinarlo ai suoi piedi. Inizia a muoverli, come se camminasse sul posto e intanto guarda fuori. Evidentemente, anche a lei piace fissare le persone. E poi eccolo, lo sguardo del cacciatore che trova la sua preda e la aggancia; poi il sorriso, quello di chi capisce il gioco. Noi guardiamo l’artista, ne sentiamo i passi e poi seguiamo il suo sguardo verso la preda. Solo vedendo la preda ci si accorge che lei stia imitando il suo passo, il suo ritmo, il timbro di quel personaggio. Chi corre per non perdere il treno, chi rallenta perché distratto dal telefono o dai nostri sguardi. Chi mano nella mano indugia sul saluto. Chi appesantito dalla spesa, dalla giornata, dalla vita, decelera. Di volta in volta, il materiale che sembrava messo lì come ambientazione si trasforma nello strumento per rendere il colore della camminata. E sembra di tornare a quei giochi di quando eravamo piccoli, quando alla stazione ti annoiavi e allora inventavi cose da fare con quello che vedevi.
Alla fine l’artista ci invita a uscire e, come rettili finalmente liberati, ci sparpagliamo per la stazione, la conquistiamo, continuando però a sentire quel gioco che non vorremmo abbandonare.
GIOCO E ISOLAMENTO SECONDO LEGHISSA
È seducente guardare la gabbia dall’esterno; è intrigante chiedersi se le persone capiscano che noi siamo tutti sintonizzati sul rumore del loro passo. O se pensino solo che siamo persone come tante, con le cuffie in testa, come ce ne sono molte nelle stazioni.
Quando arriva il triste momento di riconsegnare gli apparecchi, la performance ti resta addosso. Rifletti sui dispositivi di isolamento e quelli dello sguardo; pensi a quanto la nostra essenza sia così fittamente legata al nostro modo di camminare, a quanto la nostra essenza coincida con il movimento. Allora, tornando alla realtà, continuiamo a immaginarci i suoni dei personaggi che incontriamo. E il nostro.
Già Strasse, il duo composto da Leghissa e F. De Isabella, aveva esplorato le possibilità della stazione. Già altre volte l’artista ha indagato i non luoghi, giocando con lo spettatore – e, come tutti i giochi, è sempre qualcosa di molto serio. Anche stavolta, quella ribadita è la forza della nostra presenza, anche quando sembra sia superflua, nei suoi intrecci di traiettorie imprevedibili.
‒ Marta Cambiaghi
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