Una performance artistica notturna da seguire col GPS
Il racconto in prima persona di chi ha assistito alla veglia/performance notturna di Latifa Laâbissi, Marcelo Evelin e Tomas Monteiro a Bologna. Un’azione che rientra nel format curatoriale messo a punto da Xing indicando il luogo della performance attraverso le coordinate satellitari
Si chiamano Holes, “buchi”, e rappresentano la nuova, urgente frontiera curatoriale di Xing. Un format preparato nel 2021 da Silvia Fanti e Daniele Gasparinetti e realizzato dal 2022 come risposta radicale a qualsiasi, anche solo residuale, retorica festivaliera post-pandemica.
I “buchi” si pongono come condizioni relazionali alternative alla nostalgica volontà di riconquista dello spazio pubblico, basati sulla convocazione anti-economica, sulla rarefazione, sull’interferenza, sui raggruppamenti ristretti, sulla occupazione e attivazione ‒ secondo le stesse parole dei curatori ‒ di “luoghi non istituzionali come ridefinizione temporanea di uno spazio pubblico”. Che, in altre parole, significa ovunque. Potenzialmente qualsiasi punto di quello che Latour chiama “il terrestre”, e che dunque, a partire dalla messa in discussione dell’antropocentrismo, include luoghi e processi nei quali vige la coesistenza di tutti gli esseri, viventi e non. Ma senza sottoporre il luogo prescelto a una personalizzazione colonialista, a una rivendicazione identitaria che possa tradursi in una riconoscibilità istituzionale. Piuttosto una apertura “sprecata”, un prendere e lasciare. Fatto il buco, lo si copre immediatamente dopo, senza alcuna traccia, se non nell’esperienza di chi ha deciso di ficcarsi dentro.
La postura curatoriale di carattere performativo, la modalità con cui “si fa” il buco, è altrettanto importante di quanto lo stesso buco temporaneamente contiene. E stavolta il buco è convocato tramite delle coordinate del tutto astratte ‒ 44°29’57.8″N 11°16’58.2″E ‒ a esplicitare subito agli interessati il tipo di disponibilità richiesta.
Il mio digital divide mi consente ancora di capire cosa fare: inserisco le coordinate su Google e mi appare una mappa nella quale è evidenziato in rosso il punto in cui avverrà la performance. Un non bene identificato luogo nello spazio verde del quartiere Barca di Bologna, adiacente alle sponde del fiume Reno. L’appuntamento è alle 22, e per i meno audaci è previsto un punto di incontro più consolante “accanto agli Orti Comunali Boschetto”.
Arrivato nei paraggi, prendo una stradina sterrata tracciata da una luce laser, e in circa dieci minuti raggiungo uno spazio erboso intorno a un grande albero, sotto il quale sbrilluccicano tre figure sciamaniche. Ci si dispone liberamente sull’erba, senza esasperazioni frontali. D’altronde, i performer ‒ Latifa Laâbissi, Marcelo Evelin e Tomas Monteiro ‒ sono seduti in prossimità del tronco senza una posizione dominante, né tra di loro né rispetto ai presenti.
LA PERFORMANCE DI LATIFA LAÂBISSI, MARCELO EVELIN E TOMAS MONTEIRO
La Nuit tombe quand elle veut (La notte scende quando vuole) è indicato nel programma come una “veglia”, cioè un momento tendenzialmente simbolico e devozionale, durante il quale si ingaggia una partita col sonno in una amplificazione del notturno. Lentamente le tre figure si animano di una progressiva tensione. Laâbissi, coreografa e performer francese dalle radici magrebine e indiane, insieme a Evelin, coreografo e performer brasiliano, sprofondano in un flusso anarchico di lamentose e prolungate spore vocali, accompagnate da azioni cadenzate e accenni fisici nei quali si scorgono possibili ascendenze rituali. Nel mentre, Monteiro incalza la materia vivente dei due performer con i suoni generati dal suo theremin, scolpendo l’aria intorno al dispositivo con gesti netti o più rotondi.
Non c’è, però, alcuna fascinazione tribale dell’origine. Le figure sono, infatti, incapsulate in una corazza lamellare polimerica che, occludendo del tutto la percezione del volto, fa esplodere la luce in rifrazioni violacee e intensi bagliori blu elettrico. Si tratta di attivare un movimento atlantico dell’immaginario, una disponibilità ad accogliere al presente, nelle forme dell’ibridazione e della ricontestualizzazione, elementi che provengono, sghembi, da universi culturalmente e temporalmente non allineati al nostro. Immagini, voci e suoni, che nell’istante stesso in cui sono incorporati defluiscono verso un altrove che li inghiotte.
La creazione capta cellule fantasmatiche di saperi, declinate anche in brevi diaspore coreografiche, che sembrano abitare i corpi come degli spiriti occasionali. Accelerazioni per frammenti cinematici o brandelli di frasi, che si polarizzano in chiave ora poetica, ora filosofica, senza rinunciare anche all’ordine del quotidiano o dell’ironico. Comunque, sempre tellurizzate dalla massa sonora, conducono a una condizione che mette a rischio qualsiasi proporzione identitaria, se non quella che interessa la natura del mondo come qualcosa di perennemente instabile, senza confini.
Chiudo gli occhi, assopito nel dormiveglia che entra morbidamente nella drammaturgia dell’esperienza, e vedo tutti gli amici fantasmi evocati. Riconosco al volo Pier Paolo, ma è una geografia invisibile, un archivio che si deposita per un istante nel disordine della percezione. Finché evapora irrimediabilmente, una volta tornati civili.
‒ Fabio Acca
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