Due festival di arti performative a Vicenza e Lugano

Si alza il sipario sui primi festival autunnali di arti performative. A Vicenza è tempo del Ciclo di spettacoli classici, mentre a Lugano va in scena il FIT Festival

Domani nella battaglia pensa a me, titolo shakespeariano di uno dei romanzi più noti di Javier Marías, recentemente scomparso, è quello scelto dal direttore artistico Giancarlo Marinelli per sintetizzare senso e intenti dell’edizione 2022 del Ciclo di spettacoli classici, aperto il 22 settembre da Assassinio nella cattedrale, il celebre dramma di T.S. Eliot, qui allestito da Gugliemo Ferro e con protagonisti Moni Ovadia e Marianella Bargilli.
Una rassegna oramai “storica” e che non si nega il gusto di andare alla ricerca di nuovi talenti e di inedite modalità di interpretazione e messa in scena dei cosiddetti “classici”. Un’attitudine felicemente proattiva frutto della consapevolezza della reale e concreta contemporaneità della tradizione, allorché non la si tramuti in monumento ma se ne alimenti costantemente la vitalità – processo che viene applicato in primo luogo allo spazio in cui gli spettacoli sono allestiti, vale a dire lo storico teatro palladiano.

Moni Ovadia, Assassinio nella cattadrale. Photo Maria Pia Ballarino

Moni Ovadia, Assassinio nella cattadrale. Photo Maria Pia Ballarino

GLI SPETTACOLI AL CICLO DI SPETTACOLI CLASSICI D VICENZA

Il tema dell’intervento da parte dell’Uomo sulla Storia e sulla Natura” è quello eletto da Marinelli, anche scrittore e regista, per cucire il cartellone 2022 che vede la riproposta della vicenda di Prometeo, il titano che, sfidando Zeus, si ritrova solo a faccia a faccia con le proprie fragilità: la tragedia di Eschilo è messa in scena da Gabriele Vacis che dirige i giovani diplomati della Scuola del Teatro Stabile di Torino che si sono riuniti nel gruppo PEM (Potenziali Evocati Multimediali). Il loro Prometeo è un’empatica e vigorosa interpretazione tanto della tragedia classica quanto di tradizioni teatrali più recenti, quale il magistero grotowskiano. E giovani sono anche gli attori di Tema Cultura Academy, che, con la direzione artistica di Giovanna Cordova e le coreografie di Silvia Bennet, propongono una versione assai contemporanea di Romeo e Giulietta.
Una riscrittura attualizzata è anche quella che il Teatro dei Borgia ha realizzato con Fabrizio Sinisi e Daniele Nuccetelli di una tragedia di Sofocle: il loro Filottete dimenticato è il terzo titolo di un’interessante e policroma trilogia dedicata dalla compagnia proprio a miti classici (gli altri personaggi affrontati sono stati Medea ed Eracle). E un titolo anch’esso oramai “leggendario” è La Voix Humaine, l’opera di Jean Cocteau con la quale si sono confrontate molte attrici celebri, da Anna Magnani a Tilda Swinton, e con cui a Vicenza si cimenterà Sophie Duez diretta proprio da Giancarlo Marinelli. Il direttore artistico è regista anche di Histoire du Soldat, opera alla quale la direzione musicale di Beatrice Venezi e la partecipazione di Drusilla Foer regalano rinnovato ed elettrizzante fascino.
La rassegna veneta, ancora, sa bene che fra i suoi obiettivi vi è anche quello di disseppellire “classici” inopinatamente dimenticati: ecco, dunque, la riscoperta di Milk Wood, il “dramma per voci” composto a metà del secolo scorso da Dylan Thomas: un vero e proprio capolavoro – recentemente Einaudi ne ha meritoriamente pubblicato una nuova traduzione ‒ che Emilio Solfrizzi, Giorgio Marchesi e Jane Alexander faranno rivivere lungo un itinerario fra luoghi simbolo della città di Vicenza – dalla Basilica Palladiana ai Giardini del Teatro Olimpico.

Manuela Infante. Photo Daniel Montecinos

Manuela Infante. Photo Daniel Montecinos

IL FIT FESTIVAL A LUGANO

Discende, invece, da Mae West il titolo scelto da Paola Tripoli, direttrice artistica del FIT Festival, per il suo editoriale/presentazione dell’edizione 2002: Bisogna essere cattive ragazze e fregarsene del paradiso. Tredici “cattive ragazze” sono, infatti, le protagoniste di una rassegna che vuole programmaticamente parlare una “lingua/donna”. Attenzione, però, quello sotteso al programma disegnato da Tripoli non è un assertivo e programmatico femminismo, bensì un problematico e non-aprioristico interrogarsi sulla contemporaneità: “In tempi di interspecismo, di fluidità, di schwa, di maschile sovraesteso, faccio un passo indietro, senza rinnegare il resto, per mostrare dei ritratti, delle biografie e marcare un riequilibrio”.
La direttrice della rassegna – realizzata negli spazi di e in collaborazione con il LAC di Lugano, centro diretto dal regista Carmelo Rifici – immagina un cartellone che sappia inventare il “come” parlare dell’oggi da una prospettiva femminile, partendo proprio da quel microcosmo – sovente ancora gerarchicamente pre-determinato – che è il teatro. Afferma, infatti, Tripoli: “Le domande sono tante e io, in quanto donna, posso dirlo: potrebbe essere (succedeva e succede con altre motivazioni nella scienza, la matematica, la fisica e via dicendo), che per il teatro, fatta salva la visione patriarcale del ‘900, si possa parlare di una necessaria qualità autoritaria in chi fa regia? Esiste un problema teatro/femminile? Esiste una lingua/donna? Lo squilibrio a cui assistiamo, nel teatro (e non nella danza) sia tra artisti che tra curatori, si può definire una censura delle ‘non scelte’? C’è una questione femminile nell’arte?”.

Tatiana Julien, Interscribo. Photo Hervé Goluza

Tatiana Julien, Interscribo. Photo Hervé Goluza

LE 13 PROTAGONISTE DEL FIT FESTIVAL

Questioni tutt’altro che superficiali, che il festival mira concretamente a sviscerare per mezzo di spettacoli non catalogabili nelle consuete, vincolanti, etichette bensì frutto di necessarie ricerca e sperimentazione di linguaggi capaci di interrogare più efficacemente il contemporaneo.
Numerose, dunque, le performance, variegate mescolanze di teatro/danza/arte visiva: si parte con Amor fugge restando di Anahì Traversi col Collettivo Treppenwitz e Love me della dissacrante autrice/danzatrice/performer argentina Marina Otero; si prosegue con la svizzera Ruth Childs che in Blast! esplora le reazioni fisico-espressive alla violenza, e con la francese Tatiana Julien che in Uprising allestisce un ibrido fra concerto-sfilata di moda-incontro di boxe; per finire con Johanna Heusser e il suo Dr Churz, Dr Schlungg und Dr Böös in cui l’artista svizzera si confronta con una pratica sportiva tipicamente elvetica, lo “Schwingen”, una sorta di lotta libera.
Assai originali pure gli appuntamenti con la danza contemporanea, primo fra tutti lo spettacolo inaugurale, Chasing a ghost creato dalla coreografa svizzera Alexandra Bachzetsis. Ci sono, poi, Tabea Martin con Geh nicht in den Wald, im Wald ist der Wald e l’evento speciale ideato da TIB (Ticino is burning – un progetto/processo di Elena Boillat, Camilla Parini, Francesca Sproccati, Simon Waldvogel) dal titolo Danzare fino a scomparire (un invito a muoverci insieme).  
Non manca ovviamente la prosa, con registe di vaglia quali la cilena Manuela Infante che, in Como convertirse en piedra, prova a immaginare un teatro “non antropocentrico” e “non umanista”; e come la belga Kristien de Proost con il suo In the middle of nowhere. Da seguire anche il lavoro del collettivo olandese Wunderbaum che propone Bears, tratto dal libro del giornalista investigativo Matthew Hongoltz su quanto accadde in una placida cittadina statunitense in cui si è infiltrato un gruppo di sostenitori radicali della libertà.
A concludere il festival, poi, la prima prova registica della giovane Catherine Bertoni De Laet che mette in scena un testo scritto a quattro mani con il coetaneo Francesco Maruccia, Bogdaproste. Che Dio perdoni le tue morti.

Laura Bevione

https://www.tcvi.it/it/classici/
http://www.fitfestival.ch/

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Laura Bevione

Laura Bevione

Laura Bevione è dottore di ricerca in Storia dello Spettacolo. Insegnante di Lettere e giornalista pubblicista, è da molti anni critico teatrale. Ha progettato e condotto incontri di formazione teatrale rivolti al pubblico. Ha curato il volume “Una storia. Dal…

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