UnArchive Found Footage Fest. Il festival dedicato al riuso creativo delle immagini
Va in scena a Roma la prima edizione del festival dedicato ai film realizzati con un metraggio già esistente e successivamente riassemblato
Avvicinare il pubblico dei non addetti al cinema Found Footage: questo l’intento principale dell’UnArchive Found Footage Fest. Ideato e prodotto dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, in collaborazione con l’Archivio Luce e con il sostegno del MiC-Direzione Generale Cinema e Audiovisivo e di altre istituzioni pubbliche e private, la prima edizione del festival dedicato ai film realizzati con un metraggio preesistente, successivamente riassemblato in un nuovo contesto, si tiene a Roma dal 3 all’8 maggio all’Alcazar in Trastevere, all’Accademia di Spagna e al Tempietto del Bramante. Articolato in sezioni, consultabili sul sito, il Festival ospita un concorso internazionale, proiezioni speciali e retrospettive, live performance e installazioni visive, nonché panel e tavole rotonde e una speciale masterclass aperta a tutti.
L’IMPORTANZA DEL CINEMA FOUND FOOTAGE
Nell’era del Digital turn, gli interrogativi che la posizione del Found Footage Film suscita rispetto ai ruoli giocati dai concetti di ‘memoria dell’archivio’ e ‘archivio della memoria’, potrebbero forse trovare una plausibile risposta nei concetti che il critico d’arte e curatore Okwui Enwezor nel 2008 esprimeva in Archive Fever: Uses of Document in Contemporary Art: “Dato che la macchina fotografica è letteralmente una macchina che archivia, ogni rullino è prima di tutto uno strumento d’archivio”. Eppure, nonostante o anche a causa di tale affermazione il “mal d’archivio” di derridiana memoria pare non essersi ancora acquietato, ma è divenuto ancora più pervasivo e ha coinvolto nella sua sfera portatori di interesse differenti, fra i quali un ruolo dominante è assunto dagli artisti. L’arte, nelle sue varie declinazioni: figurativa, installativa, cinematografica, performativa, pare attingere sempre più dagli archivi, grazie anche alla fondamentale complicità degli archivisti, figure chiave che la “bit” generation ha trasformato in intraprendenti fautori della distribuzione, o come suggerisce il titolo del Festival, della “dis-archiviazione”.
I PROTAGONISTI DELL’UNARCHIVE FOUND FOOTAGE FEST
Per capire a fondo lo spirito e il senso di questo Festival abbiamo raccolto le testimonianze dei direttori artistici Alina Marazzi e Marco Bertozzi, entrambi registi e docenti di lungo corso. “Il festival nasce dall’incontro di percorsi diversi e convergenti in quest’ultima avventura. Da un lato la passione per il riuso delle immagini”, racconta Bertozzi. “Quello di ridar vita a immagini del passato è un demone che mi accompagna da sempre, sia nella dimensione più teorica, e qui ricordo gli studi dottorali, la frequentazione di programmi legati alle cineteche di Bologna, Parigi, Roma, Montreal e di festival quali “le giornate del cinema muto” a Pordenone o il “Cinema ritrovato” a Bologna; sia negli orizzonti più rielaborativi, legati ai processi di risignificazione e rilocazione delle immagini, che avvicinano queste pratiche alle arti contemporanee, nei suoi aspetti di performatività, riflessione sul dispositivo, archeologia dei media. Con AAMOD già nel 2004 realizzai ‘Appunti romani’ e con il Luce nel 2008 ‘Predappio in Luce’, in cui cercavo di risemantizzare la montagna mitologica creata dai cinegiornali che avevano edificato gli immaginari della città natale di Mussolini. Ma la riflessione sul confine tra collocazione storico-filologica e rielaborazione creativa delle immagini mi ha accompagnato anche in una serie di momenti editoriali, con la pubblicazione del primo libro sul found footage in ‘Italia: Recycled cinema’ (2012), oppure con la curatela di diversi convegni. Il rapporto con questi archivi e con Luca Ricciardi, organizzatore di questo festival, insieme al quale nel 2021 abbiamo dato vita al festival numero zero di UnArchive, unitamente al recente coinvolgimento di Alina Marazzi”. “I miei rapporti con gli Archivi del Luce e di AAMOD risalgono ai tempi delle ricerche per il mio film ‘Vogliamo anche le rose’ (2007)”, racconta Marazzi. “Ho visionato film su pellicola e sulla moviola, in un’epoca in cui il patrimonio degli archivi non era ancora in via di digitalizzazione; ricordo che insieme a Claudio Olivieri visionavamo i materiali, ma le ricerche d’archivio riservano sempre sorprese, come quando abbiamo ritrovato l’unico negativo esistente di un film citato in una scheda di cui però non si trovava il supporto filmico. Il film in questione, ‘L’aggettivo donna’ è ora accessibile a tutti. Con l’AAMOD ho anche collaborato come docente ad alcuni incontri delle residenze artistiche del Premio Zavattini. Ma anche con l’archivio LUCE ho un rapporto di lunga data, nel 2014, in occasione del suo 90° anniversario, ho realizzato un episodio del film collettivo ‘Novanta 9×10’, prodotto dallo stesso Istituto. Anche nel mio film ‘Tutto parla di te’ (2012) ho utilizzato alcuni filmati del LUCE. Il rapporto con questi archivi e con le cineteche tutte, in generale, è molto stretto, ed in particolare, l’apporto degli addetti interni agli archivi è davvero prezioso, poiché ci forniscono spunti di ispirazione nella fase di ideazione e sviluppo delle narrazioni, sia cinematografiche che sceniche”.
Adriana Scalise
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