L’estate da record per le sale cinematografiche usiamola per migliorare ancora
Gli ultimi incassi dei cinema italiani premiano la campagna di sconti sul biglietto d’ingresso. Ma al di là delle ottime statistiche, per rilanciare il settore occorre una politica culturale che rimetta al centro l’esperienza di frequentare le sale
Sono stati pubblicati, di recente, i risultati dell’indagine Gli Italiani e il Cinema, condotta da SWG per conto del Ministero della Cultura. L’indagine che, a dire il vero, si estende all’intero settore audiovisivo, riflette alcune dimensioni che senza dubbio meritano un approfondimento.
“Gli stessi italiani non hanno ben chiare le motivazioni per le quali non vanno più a cinema”
Perché gli italiani non vanno più al cinema
Tra di esse, di particolare interesse sono i motivi per i quali gli intervistati hanno dichiarato di non essere andati al cinema nei primi 5 mesi del 2023: il 28% per la perdita dell’abitudine mentre, come indica lo stesso report, un intervistato su cinque lamenta “una programmazione più scadente, e altrettanti riportano una riduzione della propria capacità di spesa”.
Queste risposte, che statisticamente tendono a proiettare una visione “schematica”, andrebbero tuttavia valutate nell’ottica di una strutturale interconnessione.
Ipotizziamo infatti che ci siano stati degli intervistati che hanno indicato come causa principale del proprio allontanamento dal cinema motivi di natura economica: per quanto realistici, tali “limiti” possono al massimo giustificare la perdita d’abitudine piuttosto che un consumo nullo. Certo, spendere circa 10 euro per biglietto di un film rappresenta senza dubbio un limite, soprattutto per le famiglie. Ipotizzando, tuttavia, un nucleo familiare con due adulti e due bambini, una spesa di 40€ ogni 5 mesi non risulta necessariamente proibitiva. Lo diventa quando, ad esempio, si intende andare al cinema una o più volte al mese.
Così come sul consumo frequente, e non occasionale, influisce anche l’altro motivo espresso: la qualità della programmazione, ad esempio, può far sì che una persona ben disposta verso il consumo cinematografico tenda a ridurre i film che va a vedere in sala in un determinato anno. Improbabile, però, che in 5 mesi non sia stato proiettato un film che valesse la pena vedere.
Con ciò, ovviamente, non si intende affermare che le analisi condotte esprimano un frammento di realtà poco attendibile. Si intende piuttosto sottolineare come, nel riportare quel frammento di realtà, gli stessi italiani non abbiano ben chiare le motivazioni per le quali non vanno più a Cinema.
“Il successo di Barbie e Oppenheimer mostra una grande divisione nei consumi: coloro che vanno al cinema, e coloro che vanno a guardare un film”
Come si promuove il Cinema?
E questa, signori, può essere una buona notizia. Perché in un clima di incertezza, le azioni di comunicazione e di promozione possono rappresentare una leva al consumo piuttosto efficace. Difficile, tuttavia, comprendere quale possa essere la promozione o la comunicazione giusta.
Non si può affermare che la variabile prezzo sia l’unica a incidere sui consumi: se così fosse, Oppenheimer o Barbie non avrebbero conosciuto il successo che invece hanno registrato. Film molto differenti tra loro, ma che contano entrambi su due importanti “brand”: da un lato il “brand Barbie” e l’encomiabile campagna di marketing che è stata condotta per il lancio del film; dall’altro il brand Nolan, che di certo non necessita di spiegazioni.
Questi fenomeni, così distanti tra loro, mostrano piuttosto una grande divisione nei consumi: coloro che vanno al cinema, e coloro che vanno a guardare un film. Per chi ama l’esperienza del Cinema, il film, come il cibo per chi spesso pranza o cena fuori casa, è soltanto una parte dell’esperienza nel suo complesso. Chi va a vedere un film, invece, è invitato ad andare al cinema dalla presenza di uno specifico prodotto culturale: in questo caso, l’esperienza generale, di per sé piacevole, ha tuttavia un ruolo accessorio.
Nell’immaginare, dunque, un’azione promozionale, piuttosto che concentrarsi sui vari aggregati demografici (età, sesso, ecc.), sarebbe più opportuno concentrarsi sulle distinte categorie di utenza. I fan dei film di supereroi, ad esempio, sono sicuramente più allettati dalla presenza di un nuovo film della Marvel o di una “maratona” sul tema, rispetto a quanto possa allettarli uno sconto su un film drammatico italiano a € 3,50.
Al contrario, sviluppare offerte che favoriscano la presenza di film eterogenei, a prezzi accessibili (come ad esempio una particolare tipologia di abbonamento che prevede uno sconto progressivo sul numero di film visti nell’anno), potrebbe essere di incentivo per quella fetta di popolazione che vorrebbe andare al cinema più spesso di quanto faccia e, magari, stimolare così un effetto traino sull’intera cittadinanza. E poi sarebbe il caso di iniziare a ragionare su una politica culturale che tenga conto che andare a vedere un film, uno spettacolo, o visitare un museo non è lo stesso tipo di consumo che contraddistingue mercati più standardizzati. Sviluppare azioni che tengano conto della reale domanda, e sviluppare strumenti che permettano di conoscere meglio la domanda e la domanda potenziale di cinema e più in generale di cultura nel nostro Paese, è un’azione che non si può più rimandare.
Stefano Monti
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