Black Land, Red Land-Restitute. A Berlino il festival sulla restituzione di beni culturali trafugati
Il tema della restituzione degli artefatti trafugati durante il colonialismo europeo in Africa diventa tema di dibattito del festival in programma a Berlino. Un momento di riflessione che si estrinseca attraverso talk, mostre e interventi performativi
Si intitola Black Land, Red Land – Restitute il festival in programma dal 21 al 28 dicembre a Berlino dedicato a un tema sempre attuale e spesso oggetto di intricati dibattiti: la restituzione degli artefatti prelevati (spesso trafugati) durante le spedizioni coloniali condotte dai Paesi occidentali. Nel XVI secolo, l’Europa ha condotto numerose spedizioni volte alla scoperta e alla conquista di territori lontani. Queste esplorazioni, che sfociavano anche in una sottomissione totale della popolazione occupata, hanno portato allo sradicamento di opere e artefatti dalla propria terra per implementare le nascenti collezioni museali europee. Oggi, moltissimi di questi reperti sono esposti nelle sale di prestigiosi musei del nostro continente, però risultano non accessibili alle loro comunità di origine che, spesso, ne richiedono la restituzione. In questi casi, ci si pone spesso le seguenti domande: chi decide la restituzione degli artefatti? Quali sono i criteri con cui questi vengono riconsegnati? A provare a dare risposta e ad ampliare queste riflessioni sarà proprio Black Land, Red Land – Restitute, coinvolgendo pubblico e artisti in talk, mostre e performance.
Black Land, Red Land – Restitute a Berlino: tra performance e talk
La rassegna avrà luogo a Kunstquartier Bethanien, e più precisamente al Palais am Festungdgraben. Tra gli appuntamenti in programma, segnaliamo i contributi artistici realizzati da Yara Mekawei, Hani Mojtahedy, Cevdet Erek, Attila Csihar, Lea Draeger e Houaïda, tutte produzioni ex novo che indagano la storia e la mitologia egizia, e il rapporto tra società, spazio e appartenenza. A questo filone si aggiunge un programma incentrato su talk e tavole rotonde all’interno di istituzioni museali – a cui parteciperà anche il Museo Egizio di Torino – approfondendo il tema della restituzione sia un punto di vista storico-critico sia pratico. Protagonisti dei dibattiti saranno addetti del settore e professionisti, quali Fazil Moradi, Monica Hanna, Nora Al – Badri, Léontine Meijer – Van Mensch, Saraya Gomis, Johannes Auenmüller, TBC, Elena Sinanina e Yara Mekawei molti altri ancora.
Black Land, Red Land – Restitute a Berlino. Parola alla direttrice artistica e curatrice Elena Sinanina
“Un anno fa, una ricerca sulle statue dell’antica divinità egizia Sekhmet mi ha portato al Museo Egizio di Torino. Da quando sono state portate via dall’Egitto nel XIX secolo, le statue di Sekhmet sono sparse in vari musei del mondo. Al di fuori dell’Egitto, appaiono strane e particolari perché prive del contesto per cui sono state create. Sembrano isolate e autoreferenziali”, spiega Elena Sinanina intercettata da Artribune. “Trattando le Sekhmet di Torino, ho capito che il loro fenomeno può essere esplorato attraverso un incontro artistico, un dialogo congiunto tra Sekhmet, il museo e noi come team del festival e gli artisti partecipanti. Dall’agosto 2023 è presente a Berlino una statua gemella di uno dei Sekhmet torinesi, chiamata Sakhmet (“Che fa del bene e ravviva le Due Terre”). La statua è stata realizzata a partire da modelli 3D della stessa statua di Torino, che il museo ci ha messo a disposizione come pubblico dominio per il progetto. Sakhmet fa parte di varie performance e attivazioni artistiche e, dopo la conclusione del nostro festival, partirà per un tour internazionale insieme ad artisti e studiosi per visitare le sue sorelle nei musei internazionali.
Ritengo importante che il museo torinese si sia aperto a un progetto interdisciplinare come il nostro e che sia stata possibile questa forma di collaborazione aperta e reciproca; questo atteggiamento mi sembra sostenibile. Speriamo di poter continuare questa collaborazione in occasione del progetto itinerante nei prossimi anni.
Dopo le discussioni e le esperienze fatte finora con Sakhmet, non credo che parliamo di qualcosa che si possa possedere e classificare. Ciò che Sakhmet rappresenta va al di là di ciò che può essere categorizzato e dobbiamo affrontarlo se vogliamo parlarne o metterci in relazione, indipendentemente da come questo interesse è strutturato (che sia artistico, spirituale…)”.
Valentina Muzi
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