William Kentridge porta a Parigi il suo Centro per la sperimentazione di nuove idee
È la Fondation Cartier ad accogliere in residenza il Centre for the Less Good Idea dell’artista sudafricano, offrendo al pubblico la possibilità di partecipare al processo creativo di un collettivo di artisti interdisciplinari. Solo una settimana di tempo per sperimentarlo
La fondazione del Centre for the Less Good Idea, a Johannesburg, risale al 2016. E negli ultimi otto anni, William Kentridge (Johannesburg, 1955), che del progetto è fautore (insieme alla sodale Bronwyn Lace) e animatore instancabile, ha fatto del centro un modello di produzione e sperimentazione partecipata che trascende il perimetro di uno spazio fisico, utilizzandolo come strumento per veicolare la sua visione dell’arte.
Il Centre for the Less Good Idea di William Kentridge
L’iniziativa è nata, infatti, con l’obiettivo di alimentare pensieri e azioni che rispondano alle sollecitazioni della contemporaneità, attraverso pratiche interdisciplinari e collaborative che incoraggino l’emergere di nuove forme d’arte, a partire dal principio che anche “l’idea meno buona”, a volte partorita per caso o per errore, possa aprire la strada a intuizioni innovative. Iniziando da una lettura senza filtri della realtà. Del resto tutta l’attività dell’artista sudafricano – che si tratti di disegni, installazioni visive e sonore, film o produzioni teatrali, performance, alla ricerca di un’ibridazione continua di tecniche e generi diversi – affonda le radici in documenti e accadimenti storici, caricati di riferimenti autobiografici, ironia, contraddizioni, per rappresentare le ingiustizie e le assurdità della nostra epoca.
Il Centre for the Less Good Idea a Parigi
Dunque non stupisce ritrovare il Centre for the Less Good Idea in trasferta, a Parigi, seppur solo per qualche giorno, dal 14 al 20 maggio 2024.
In attesa di debuttare, il prossimo 7 luglio, con la sua nuova produzione operistica – The Great Yes, the Great No – presso la LUMA Foundation di Arles (dal 2005, anno in cui presentò la sua regia del Flauto Magico di Mozart, Kentridge si cimenta con l’opera lirica, riscuotendo successi in tutto il mondo), infatti, l’artista arriva da protagonista nella capitale francese, ospite presso la Fondation Cartier con il suo laboratorio di idee, e una fitta programmazione di attività e performance aperte al pubblico.
A Parigi, il Centro prenderà forma, per un’intera settimana, negli spazi della Fondazione in Boulevard Raspail, prendendo possesso dell’edificio progettato da Jean Nouvel nel 1994. Qui, con il coinvolgimento di una trentina di artisti in arrivo dal Sudafrica, dal Benin, da Belgio, Olanda e Francia, oltre che con la partecipazione di studenti, amatori e curiosi, si svolgeranno concerti, spettacoli, letture, proiezioni, tutti mirati a individuare nuove idee da condividere e far crescere insieme, senza timore di fallire e con l’obiettivo di sentirsi liberi di esprimersi.
Un laboratorio di idee partecipato alla Fondation Cartier
Per la prima volta nella sua storia, la Fondation Cartier, fondata nel 1984 da Alain-Dominique Perrin, accoglie in residenza non un singolo artista, ma un’istituzione come il Centre for the Less Good Idea, che potrà disporre non solo degli spazi espositivi, ma anche del giardino del museo. Durante i laboratori – accessibili a tutti, previa prenotazione – gli artisti sperimenteranno combinazioni inedite di testi, musica, movimenti, immagini, senza alcun vincolo di formato o mezzo espressivo. E il pubblico parteciperà attivamente a questo processo creativo: il 14 maggio, le attività saranno aperte dalla performance lecture Collapses & Defences; nei giorni successivi, ogni sera dalle 19 alle 22, i visitatori potranno assistere a Showing the Making, una sessione sui workshop tenuti dagli artisti durante la giornata, e a diverse performance interdisciplinari, tra cui Pepper’s Ghost, una forma di illusione teatrale che unisce spettacolo dal vivo e proiezioni video. Tra gli appuntamenti, anche Sizendlebe | We are Ears, una performance musicale sperimentale che illustra la complessità della traduzione.
Livia Montagnoli
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