Cos’è la cultura performativa nel nuovo millennio? Intervista a Cristiano Leone 

Qual è lo stato dell’arte se parliamo di performance? L’autore dell’atlante delle arti performative risponde con una ricca mappatura creando un itinerario senza confini. Lo abbiamo intervistato

Atlas of Performing Culture (Rizzoli, 2023) è un ricco e approfondito volume che mira a indagare lo stato dell’arte della performance, delineando un itinerario che, incurante dei confini geografici e soprattutto delle categorizzazioni artistiche, va all’esplorazione dei siti culturali e delle esperienze performative più significative del mondo. Un viaggio progettato e compiuto da Cristiano Leone: lo abbiamo intervistato. 

Cristiano Leone, Atlas of Performing Culture
Cristiano Leone, Atlas of Performing Culture

Intervista a Cristiano Leone

Il titolo del suo volume fa riferimento alla “cultura” e non all’”arte” performativa: qual è la ragione di questa scelta? C’è la volontà di sottolineare come la “performatività” oramai non riguardi solo l’ambito dello spettacolo e dell’arte ma un territorio ben più esteso? 
In questo libro indago la performatività come una pulsione antropologica connaturata all’essere umano, esplorandone le manifestazioni esteriori in cui essa si esprime. Del resto, le performance, anche quelle più contemporanee, partecipano degli stessi meccanismi dei riti ancestrali: l’esserci con il corpo, in un preciso contesto, in una relazione simbolica costante con il resto del genere umano, con le architetture e con la natura. Quando si parla di performatività è necessario tralasciare le etichette con cui si definiscono le arti. Non solo esistono culture performative, ma la cultura è in un certo senso una performance continua, perché implica un rapporto vivo e continuo tra gli artisti, il pubblico e la loro storia, insieme individuale e collettiva. 

Quali sono gli elementi fondamentali che concorrono a definire oggi un’esperienza performativa?  
La cultura performativa si esprime attraverso linguaggi ibridi, attingendo alle tensioni della contemporaneità, interrogando l’ambiente e le sue manifestazioni, mettendo al centro il corpo e il gesto, sia per il performer che per l’osservatore. Pertanto, l’elemento performativo è solitamente la forma d’arte scelta per veicolare con la propria fisicità messaggi politici, sociali, etici ed estetici. In un’esperienza rientrano vari elementi, e continuamente mutevoli.  

Ci spieghi meglio 
Se fino a tempi molto recenti la performance si basava essenzialmente sulla relazione dal vivo tra artisti e pubblico in un determinato contesto, sappiamo ora che le tecnologie attuali consentono, dematerializzando l’atto creativo, di estenderne ulteriormente le potenzialità e i mezzi espressivi. Ciò non toglie che l’elemento principale della performance sia quello relazionale, che consente di aprire orizzonti intangibili e immateriali proprio attraverso la presenza e il corpo. Ogni performance può essere ripetuta, ma mai riprodotta allo stesso modo poiché l’atto performativo non è mai uguale a sé stesso, ma è la combinazione sempre nuova degli elementi che lo compongono, in primis degli esseri umani, artisti o pubblico, che lo co-creano.  

Come? 
La potenza della performatività, che ne garantisce la sopravvivenza nei secoli, è infatti proprio legata all’unicità di questa reciprocità. Il pubblico modifica il gesto artistico. Ogni performance va dunque intesa come una co-creazione in cui intervengono sia gli artisti che il pubblico aprendo un varco verso la spiritualità, perché attraverso il corpo si è in grado di veicolare l’immaterialità più assoluta, creando comunità, federando e instaurando un dialogo con la quintessenza dell’umanità: la socialità. 

Lessico animale Performer con Yuval Avital e Cristiano Leone, 2022 © Courtesy of the artist
Lessico animale Performer con Yuval Avital e Cristiano Leone, 2022 © Courtesy of the artist

Il nuovo libro di Cristiano Leone sulla cultura performativa

I tradizionali linguaggi dell’arte performativa, primo fra tutti il teatro, riescono ancora a comunicare e a rispecchiare la realtà attuale? In che modo, secondo Lei, possono rinnovarsi per non soccombere?   
Il teatro ha la sua radice etimologica nel verbo greco theaomai, che significa “io vedo”, io “osservo”; vedere e osservare non indicano però un’azione subita, ma il prodursi di un’interazione. In qualsiasi forma di performance si crea infatti un rapporto diretto e immediato tra l’artista o gli artisti, il pubblico e il contesto che li circonda. Se per teatro si intende al contempo, semplificando al massimo, un luogo e un genere, con questo termine ci riferiamo a una moltitudine di forme espressive.  

Ad esempio? 
Alcune di queste hanno sicuramente più presa di altre sul pubblico contemporaneo, perché forse meglio combaciano con alcune istanze del presente, mentre altre continuano il proprio percorso, non smettendo però mai di trasformarsi. Nella performance è il processo creativo ad andare in scena, esso rappresenta l’ultima tappa attraverso cui un’idea assume la sua concretizzazione, partecipando di molte forme d’arte e incarnandosi, infine, in quel preciso istante in cui si disvela. Definisco il teatro “la matrice della performatività”, perché in esso vi è la realizzazione artistica di quell’impulso di cui parlavo. La tendenza a conservare i generi e i repertori classici – l’opera, il balletto, le opere tragiche e comiche, il teatro di prosa – convive nella cultura performativa con una tendenza alla ricerca e alla creazione più contemporanea, come la performance art, la coreografia contemporanea, la videodanza, il teatro digitale, l’installazione e le nuove drammaturgie che possono, ma non necessariamente, scegliere di dialogare con la tradizione.  

Come avviene a suo parere questo dialogo?
Il teatro, o ancor meglio tutte le forme di teatro, non soccomberanno finché l’essere umano sarà così come lo abbiamo conosciuto fino a oggi, poiché esso offre molteplici possibilità di stare insieme e, così facendo, rigenera i legami che uniscono la società attraverso una delle modalità espressive più ancestrali con cui gli esseri umani organizzano, rielaborano e danno senso alla loro esistenza. Il nostro è il tempo della performatività diffusa. Si pensi all’uso dei social network da parte di tutti, specialmente le nuove generazioni. Emerge con evidenza l’esigenza di esprimersi attraverso i codici del performativo, al di là della valenza artistica e progettuale che la sottende e del risultato che si realizza. Con il corpo, la voce, il mettersi in scena si può entrare in relazione anche con chi non c’è, con chi non è qui, anche se quell’hic et nunc della presenza diventa oggi il social stesso, palcoscenico potenzialmente infinito.  

Il suo libro è un “Atlante” e descrive esperienze performative raccolte in quattro continenti: cosa le unisce? È possibile riconoscere un filo rosso? 
Ancora una volta, il filo conduttore è l’essere umano. Ogni festival, teatro e centro culturale di cui tratto sorge dalla visione lungimirante di alcuni individui e dalla loro volontà di creare un palcoscenico ove condividere la propria incessante ricerca di significato. Sebbene effimere e fugaci, le performance possiedono il potere di imprimere nell’anima del mondo tracce indelebili, come un’energia che simultaneamente abbraccia e scuote, connette e aggrega, nel nobile intento di forgiare una comunità coesa. La complessità delle visioni di queste persone rispecchia quella della cultura performativa, in cui corpo, simbolo, ricerca, impegno, creazione, forma, intrattenimento, materia, sacralità, rivoluzione ed emozione coesistono simultaneamente. 

Laura Bevione 

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Laura Bevione

Laura Bevione

Laura Bevione è dottore di ricerca in Storia dello Spettacolo. Insegnante di Lettere e giornalista pubblicista, è da molti anni critico teatrale. Ha progettato e condotto incontri di formazione teatrale rivolti al pubblico. Ha curato il volume “Una storia. Dal…

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