Come mantenere vive le opere d’arte e gli artisti? I casi di Kim Gordon e dei Melvins
Si può rimanere creativi a lungo in questo strano, inquietante, violento e per certi versi entusiasmante periodo storico? Una musicista – artista visiva come Kim Gordon e una band come i Melvins dimostrano che sì, si può fare
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Tra gli album più sorprendenti della scorsa primavera ci sono sicuramente The Collective di Kim Gordon e Tarantula Heart dei Melvins. La sorpresa non sta solo nella qualità di questi due oggetti culturali, ma anche nel fatto che a pensarli e realizzarli non sono due novellini o due promesse della musica contemporanea, ma due vecchie glorie.
Il che ci porta al vero tema di questo pezzo: come si possa rimanere creativi a lungo, e soprattutto come in questo strano, inquietante, violento e per certi versi entusiasmante periodo storico dal punto di vista artistico pare che gli artisti anziani siano progettati per dare le piste a quelli che, per ragione anagrafica, dovrebbero essere gli attuali sperimentatori: i giovani.
Chi è Kim Gordon
Kim Gordon (1953) è l’indimenticata e indimenticabile bassista-chitarrista e fondatrice, insieme all’ex-marito Thurston Moore, dei Sonic Youth, band che ha praticamente inventato il noisesviluppando a sua volta la lezione di un maestro come Glenn Branca (The Ascension, Symphony No. 3, Symphony No. 1, The Third Ascension); e membro fondatore dei Free Kitten, Body/Head, Glitterbust. Ma è anche molto di più: artista visiva, per esempio, e anche piuttosto brava (formatasi nell’ambito della generazione delle Pictures, a fine anni Settanta; come Walter De Maria prima di lei, è stata indecisa per qualche tempo tra le due carriere, per poi riprendere di recente la sua attività in questo campo…), oltre che autrice di Girl in a Band (minimum fax 2016), una delle più belle autobiografie rock – insieme forse a Just Kids di Patti Smith e a Sing Backwards and Weep di Mark Lanegan.
La fine (traumatica e non senza strascichi) della relazione tra Gordon e Moore ha portato inevitabilmente anche alla fine del leggendario gruppo. Ora, mentre del secondo – in piena crisi di mezza/terza età – nell’ultimo decennio si sono francamente perse le tracce, tra album cervellotici e raffinate ma un po’ autoreferenziali curatele editoriali, la prima è ovviamente rifiorita, come peraltro avviene quasi sempre alle donne creative una volta che si sono liberate del compagno oppressivo/opprimente (cfr. Lee Krasner, Frida Kahlo, ecc. ecc.). e ha pubblicato un album più bello dell’altro (No Home Record, At Issue): l’ultimo, appunto, The Collective, è un capolavoro.
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L’album The Collective di Kim Gordon
Insieme al produttore Justin Riesen, infatti, KG compone un collage sonoro di grande coerenza e impatto, costruito come un flusso continuo di interferenze, rimandi, collisioni – totalmente aperto all’influenza dei generi più recenti come la trap. The Collective fa però quello che ti aspetteresti da un musicista trentenne e non da una compositrice settantenne: agisce in piena libertà creativa, indipendente da qualunque ragionamento legato alla likeability, all’accessibilità e al consenso immediato. L’intelligenza estrema di questo lavoro deriva naturalmente da mezzo secolo all’insegna della sperimentazione punk, post-punk, no wave, e dell’esplorazione del confine – sempre sfumato, irrisolto, indefinito come è giusto che sia – tra suono e rumore: eppure, l’approccio di quest’opera, potremmo dire, è più propriamente jazz. Canzoni come It’s Dark Inside, Tree House, Dream Dollar e The Candy House (ispirata al romanzo di Jennifer Egan, sequel de Il tempo è un bastardo e traccia letteraria che informa l’intero disco) si muovono felicemente nel territorio della dissonanza e della non-canzone, mimando in modo brillante una rapper/trapper disconnessa, dissociata, out of this world.
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L’album dei Melvins Tarantula Heart
Similmente i Melvins di Buzz Osborne (1964), pur abitando stabilmente il territorio a loro congeniale dello stile inventato ormai quasi quarant’anni fa (il debutto Gluey Porch Treatments è del 1987), confezionano con Tarantula Heart un disco che contribuisce a sviluppare in nuove direzioni l’impostazione di un grunge/sludge dilatato ed esistenziale. La prima traccia, Pain Equals Fun (lunga 19 minuti), è in grado di rivaleggiare con le leggendarie Boris (che apre Bullhead, 1991) e Hung Bunny / Roman Dog Bird (in Lysol, 1992): nei diciannove minuti del brano spaziano dallo sludge allo stoner a una psichedelia quasi country e a tratti funky, rivisitata e incattivita, dimostrando come anche a sessant’anni si possa avere ancora qualcosa di importante da dire dal punto di vista artistico. Del resto, ce lo ha dimostrato anche il testamento musicale del compianto Steve Albini (1962-2024), l’album degli Shellac To All Trains pubblicato dieci giorni dopo la sua scomparsa.
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Musica, likeability e grandi produzioni: il caso Pearl Jam
Ciò che accomuna due dischi per molti versi così lontani e differenti è, ancora una volta, l’approccio – libero da considerazioni legate al mercato, alle aspettative dei fan, alla “commestibilità” del prodotto finale (e, dispiace dirlo, un esempio negativo in tal senso è rappresentato proprio da un’altra band capofila del grunge, i Pearl Jam, che avrebbe fatto molto meglio a non pubblicare Dark Matter: la prova provata – se ce ne fosse bisogno – che non basta un produttore come Andrew Watt, nato nel 1990 e legato a nomi come Justin Bieber, Lady Gaga e Miley Cyrus per acquisire freschezza e profondità; queste sono qualità che vanno coltivate, evidentemente, giorno dopo giorno, opera dopo opera).
A questo punto, il sogno proibito è una collaborazione tra Kim Gordon e i Melvins.
Christian Caliandro
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Christian Caliandro
Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…