Arti performative e spettacoli a Prato. È tornato il festival Contemporanea
Dopo la sospensione dello scorso anno, è tornato a Prato “Contemporanea”, il festival dedicato alle arti performative più innovative dal punto di vista formale e interessate alla riflessione sul presente, diretto da Edoardo Donatini. Ecco com’è andato
A volte ritornano, magari dopo lo stop di un anno. E ritornano a colmare un vuoto che, in una regione come la Toscana, se parliamo di teatro contemporaneo, sembra farsi sempre più grande. Così a Prato riecco l’edizione 2024 di Contemporanea con il ficcante titolo di L’emozione prima della sommossa.
L’edizione 2024 del festival Contemporanea di Prato
Una sorta di effervescenza collettiva, afferma il direttore artistico Edoardo Donatini, “con lo scopo di attivare percorsi virtuosi in cui anche il fallimento merita una storia sui social”. Dal 27 settembre fino al 5 ottobre un’offerta di spettacoli nazionali e internazionali che, a differenza di tanti altri festival, regala allo spettatore il tempo necessario per riflettere e far sedimentare, senza abbuffate che portino a indigestioni, che poi si rischia di non ricordare quasi nulla di ciò che si è visto. Tra gli ospiti, Miet Warlop, Marlène Monteiro Freitas, El Conde de Torrefiel, Igor x Moreno, Antonio Tagliarini e vari lavori che vanno a intrecciarsi con le realtà del territorio, come la creazione di Chiara Dorliguzzo, Dies Irae, in collaborazione con il Centro Antiviolenza La Nara, risultato di una settimana di laboratorio con un gruppo di donne di tutte le età a interpretare l’opera musicale di Galina Ustvolskaya; e come SI! I giorni felici, lavoro firmato da Matteo Pecorini al quale abbiamo assistito domenica 29 settembre, dove la protagonista è ospite del Centro Servizi per Anziani Il Gignoro di Firenze.
Lo spettacolo di Matteo Pecorini al Contemporanea di Prato
Pecorini firma uno spettacolo “che scompone e scompagina il Tempo, attraversando la vita di tre donne e riscrivendo Giorni felici di Beckett con nuovi occhi e nuovi corpi”. Tre figure femminili in scena – e un silenzioso uomo in abito nero (Pecorini) – per tre diverse età della vita: una bambina che disegna attorniata dai suoi giochi, una ragazza con il suo zaino che potremmo incontrare alla fermata dell’autobus e una donna ospite di una struttura per anziani. È quest’ultima, la brava Lilla Mangano, la protagonista. Interpreta un monologo frammisto di nostalgia e presente vissuto appieno, una Winnie che intreccia il testo del drammaturgo irlandese con riflessioni pescate nel quotidiano, tra discese nel dialetto e famose strofe di musica italiana canticchiate. Interessante, sulla carta, esperimento di rivisitazione pop di un classico. Manca tuttavia un amalgama che intrecci gli eterogenei “narrati” in una visione di insieme, mancano alcuni elementi per portare a fusione la materia in un unico metallo. È facile intuire e seguire, ad esempio, lo sviluppo “beckettiano” ed evidente appare la traccia autobiografica spesso divertita della protagonista, ma difficile risulta collocare nel disegno registico la performance di Linda Vinattieri – la ragazza –, una partitura gestuale ripetuta dove gli oggetti del quotidiano contenuti nello zaino disegnano un perimetro all’interno del quale muoversi. Stessa cosa per quanto concerne la piccola Sveva Martinoli Ponzoni, alle prese con i suoi Lego e i suoi Playmobil.
Lo spettacolo Karrasekare della compagnia Igor x Moreno
Metallo in luminescente e inarrestabile ebollizione, il cui calore irradia fortissimo dalla scena del Teatro Fabbricone in Karrasekare, intensa e coinvolgente nuova produzione della compagnia Igor x Moreno, felicemente ispirata alle tradizioni carnevalesche pagane della Sardegna e dei Paesi Baschi. Lavoro imperniato su ammalianti atmosfere chiaroscurali, caratterizzate da un’imponente scenografia che gioca molto sul colore nero e presenta soluzioni assai felici.
Igor Urzelai e Moreno Solinas, tra i protagonisti anche in scena, presentano un viaggio a ritroso verso le sorgenti dei riti carnascialeschi fino ad approdare ai rituali precristiani, quando si celebrava il solstizio di primavera e “quando ancora non si chiedeva alla comunità di levare la carne, ma di metterne al fuoco molta di più”. Un rito sacrale primitivo, che i bravissimi performer testimoniano con rara intensità, riportando alla luce gli istinti primordiali che si celano sotto la nostra forma umana. Spettacolo in crescendo, caratterizzato da pochi elementi scenografici e da partiture gestuali lontane da artificiosità, di forte impatto.
A trionfare, infine, è la dimensione catartica del movimento circolare dei corpi – immediato il rimando al celeberrimo La danza di Matisse –, corpi nudi che si avvinghiano, corrono forsennati e posseduti, ruotano su se stessi quasi fossero dervisci, fuggono, si allontanano per poi riprendere il moto orgiastico collettivo e ipnotico, fino a un finale simbolico, che ci trova immersi in una eco lontanissima in cui riconosciamo prepotente, quasi con terrore, un richiamo ancestrale sopito e nascosto nell’oblio contemporaneo, ma non ancora del tutto cancellato.
Marco Menini
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