“Comporre è fare archeologia”. Intervista a Boosta, narratore di suoni

Boosta dei Subsonica si racconta in occasione dell’uscita di “Soloist”, il suo nuovo progetto da solista, in cui esplora le potenzialità del pianoforte andando oltre gli schemi più diffusi...

La sua musica è colonna sonora del silenzio di chi ascolta, spazio democratico dove lasciar correre i pensieri.  In un tempo in cui il confine tra i linguaggi è sfumato, il tastierista dei Subsonica, Davide “Boosta” Dileo (Torino, 1974), è a pieno titolo musicista, sound artist e narratore. Gioca coi tasti del pianoforte vestendolo con “abiti” sonori, poi con gli oggetti, a farli diventare suoni, progetti, racconti.  Dopo Facile (2020) e le Post Piano Session (2022), con Soloist, il nuovo album in solo, sperimenta un punto d’incontro tra tradizione e avanguardia, un’esperienza immersiva di condivisione e connessione intima per esplorare nuove forme espressive: dalla dimensione contemplativa del suono nudo, dove ogni nota lascia spazio e respiro, alle manipolazioni elettroniche, che lo spingono verso paesaggi acustici inediti e tessiture sonore emozionali, ispirate alle atmosfere di Brian Eno e Harold Budd. E poi tanti altri progetti, anche extramusicali, passati e futuri che ci siamo fatti raccontare in questa intervista a tutto tondo. Il tour partirà il 29 aprile da Vicenza, per proseguire nelle principali città italiane e noi lo abbiamo intervistato.

Davide Boosta Dileo Soloist, Ph Damiano Andreotti
Davide Boosta Dileo Soloist, Ph Damiano Andreotti

Intervista a Davide Dileo detto Boosta

Lavori molto sull’intimità. Come si concilia la densità emotiva con una scrittura essenziale?
La musica deve nascere da un’esigenza profonda. Solo così ha senso fare questo mestiere, che è un privilegio. L’urgenza porta con sé una componente emotiva forte, il racconto stesso di ciò che stiamo vivendo. Comporre è fare archeologia: scavi dentro te stesso, inciampi in un frammento, magari insignificante, e piano piano lo riporti alla luce. A volte resta un coccio abbandonato, a volte diventa una villa di Pompei. L’ambizione è quella, ma il vero traguardo è togliere il superfluo. Arrivare a poche note dove la relazione tra la melodia e l’armonia diventa così perfetta da rendere il tutto essenziale, ma profondamente significativo.

In un mondo iper-sonoro, come si cattura il silenzio?
È il contenitore stesso dell’ascolto. In una stanza affollata dove tutti parlano, è impossibile cogliere un messaggio. Il silenzio è casa e palestra: ti permette di entrare in relazione con te stesso, con gli altri, con ciò che sta nascendo nel momento creativo. Dentro il silenzio può esplodere una sola nota, e quel gesto sonoro acquista una potenza straordinaria. È molto più affascinante un solo fuoco d’artificio nel buio totale che una raffica in mezzo al rumore.

Cover Vinile Boosta SOLOIST
Cover Vinile Boosta SOLOIST

Il gesto pianistico è anche gesto narrativo?
La scrittura musicale è una vera e propria calligrafia sonora. Non scriviamo oggi come scrivevamo a vent’anni, e lo stesso vale per la musica: cambiano le energie, le esperienze, le urgenze. Questa trasformazione riflette un’evoluzione, che è anche narrativa.

Cosa significa “reinventare” il suono del pianoforte?
Cerco di allargarne il concetto. Non sono certo il primo né il più bravo, ma sono un musicista curioso che usa gli strumenti in modo non convenzionale, prima di tutto per sorprendermi. Lavoriamo sempre con dei pattern mentali, ormai strategie acquisite: rompere questi schemi è difficile ma meraviglioso, oltre che necessario.

Nel passaggio dal live con i Subsonica a quello solista, cambia la gestione della scena e del suono.
In una band sei protetto: l’errore è condiviso, c’è una dinamica relazionale forte, puoi giocare. Da solo, al pianoforte, resti nudo. Devi esserci al 100%. Costruisci una drammaturgia, cerchi di creare un flusso, un’esperienza immersiva. Non voglio che il pubblico esca pensando “ha suonato bene”, ma che si porti via un’emozione. Vorrei che il concerto fosse uno spazio per sognare, per immaginare ipotesi di vita diverse.

Nei tuoi progetti il suono diventa spazializzato, performativo e visivo. La dimensione installativa ha modificato la tua idea di composizione musicale?
Moltissimo. La musica, quando entra in uno spazio reale, prende corpo. E paradossalmente, perdendo i confini temporali di una composizione “chiusa”, guadagna apertura. La tridimensionalità le dona concretezza permettendole di dilatarsi, di contaminarsi col luogo, con le persone, con l’esperienza.

Davide Boosta Dileo Soloist, Ph Damiano Andreotti
Davide Boosta Dileo Soloist, Ph Damiano Andreotti

Nel tuo studio d’artista – Sonogramma – esplori l’arte del suono e la sua grammatica visiva.
È la vetrina di un passaggio personale che ho sottopelle, lontano dal volersi definire, pensato per contenere e stimolare la mia creatività. Un cerchio sfumato tra musica e immagine che non deve chiudersi. Qui il suono, anche nel suo silenzio sospirato e sospeso, diventa una presenza tangibile.

I luoghi sono culle d’ispirazione?
Mi affascinano fin da bambino, quando guardavo le luci accese nelle case la mattina presto e mi chiedevo come sarebbe stato viverci. Libri, film, città, stanze… tutto può diventare spazio dove fare ciò che amo.

Per la “Scuola di musica elettronica per l’infanzia” immagini il suono come linguaggio formativo.
È il progetto a cui tengo di più, quello che vorrei lasciare. La musica elettronica è un terreno importante per i bambini, permette di agire subito sul suono, senza l’ostacolo della tecnica. È pura esplorazione, materia viva che insegna ad ascoltare, anche l’altro. E ben sappiamo quanto sia utile nella vita.

Ginevra Barbetti

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Ginevra Barbetti

Ginevra Barbetti

Nata a Firenze, si occupa di giornalismo e comunicazione, materie che insegna all’università. Collabora con diverse testate in ambito arte, design e cinema, per le quali realizza soprattutto interviste. Che “senza scrittura non sarebbe vita” lo ripete spesso, così come…

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