“Valhalla Rising”. Tra mitologia nordica e cristologia
Una pellicola straniante, che parla di morte, vendetta, sacrificio, redenzione e profezia. Il protagonista è un prigioniero con un occhio solo, come Odino, ma non mancano i riferimenti cristologici. Il regista danese Nicolas Winding Refn ci regala un film visionario.
Valhalla Rising (Nicolas Winding Refn, 2009) comincia nella gabbia di un prigioniero di terre lontane. Il suo protagonista è uno schiavo costretto a combattere per soddisfare la sete di potere e denaro del suo padrone. Il suo vero nome non ci è dato saperlo, non sappiamo da dove sia venuto né perché sia stato catturato. Ha un solo occhio e non parla. Sappiamo che ha il dono della preveggenza, che sogna la sua liberazione e che attende fiducioso e sereno che i segni della sua visione si manifestino.
Oltre al palese riferimento alla mitologia nordica (Odino, re degli Dei con un solo occhio), Refn sembra avvicinare iconograficamente il suo protagonista al Cristo tradito della Via Crucis, che tace insanguinato di fronte ai suoi detrattori. È il profeta oramai consapevole, che accoglie violenze, soprusi e umiliazioni, aspettando fiducioso la fine. Sa che la sua presenza è “altra”, che la sua natura è differente e che gli uomini non possono né comprenderla né accettarla. Con pazienza e tenacia combatte, è un gladiatore indomabile e diviene una vera leggenda nelle terre vichinghe. Viene nutrito a stento da un garzone bambino, l’unico essere umano che può entrare nella sua gabbia e uscirne vivo.
Nonostante sia incatenato, infatti, lo schiavo domina. Domina perché sembra essere completamente libero da ogni paura e da ogni desiderio, domina perché è un Re (degli dei o degli uomini), un’anima imperturbabile che terrorizza chiunque la guardi, il suo padrone compreso. La sua ira diviene inarrestabile (come quella divina) per necessità di sopravvivenza, per un senso di “giustizia” universale, quando non ha più scelta. La sua fuga attraverso le montagne è accompagnata dal piccolo garzone che lo segue poiché non sa né dove né da chi ritornare. I due sembrano capirsi tramite telepatia e da quel momento in poi il bambino diventerà la voce attraverso la quale il fuggiasco potrà acquisire un nome (One Eye) e profetizzare.
Il suo unico occhio è onnipotente, che sia quello di Odino o che faccia riferimento all’occhio di Dio dell’iconografia cristiana. La mitologia nordica si mescola al linguaggio biblico che si rafforza attraverso la scansione in capitoli dai toni apocalittici: Ira, Terra Santa, Uomini di Dio, Inferno. Attraverso l’incontro con un drappello di crociati sperduti nelle brumose terre del Nord, Refn mette a confronto la “vera fede” cristiana e il profano animismo di One Eye. Alla sete di potere e ricchezza, alla volontà di dominio e alla superstizione che domina il gruppo, One Eye contrappone la forza interiore e il silenzio, la pazienza di chi sa che la vita è solo un passaggio, che ogni azione umana è predestinata, che ogni cosa è già stata scritta ed è governata da un’immensa forza superiore.
E così, mentre i crociati si perdono nel vano tentativo di convertire popolazioni selvagge alle pendici del mondo, One Eye rimane per predire la sua e la loro fine e per proteggere quel bambino che lo segue ciecamente perché ne ha compreso la vera natura. È One Eye a incarnare la pietas cristiana che gli altri vanno solo predicando, è lui che si sacrificherà per permettere a quel “figlio” innocente di continuare a vivere e a sé stesso di tornare a Valhalla, il palazzo in cui dimorano le anime dei più valorosi guerrieri. Alla vendetta e alla violenza si sostituisce l’amore, il sacrificio per la speranza della salvezza. il Vecchio testamento lascia così spazio al Nuovo, attraverso un percorso rituale, una catarsi, in cui morte e rinascita coincidono.
Tutto questo viene reso da Refn in uno stile ricco senza essere artificiale, estremamente visionario, di cui il regista danese ha dato prova fin dai suoi esordi e che ha raffinato nel corso di più di un decennio. Valhalla Rising è un film straniante, in cui il ritmo volutamente lento e descrittivo viene interrotto da improvvisi scoppi di brutalità primordiale. È come vedere un ibrido affascinante tra cinema sperimentale e film d’azione di ambientazione storica. La violenza, in questo caso, è direttamente subordinata allo svolgimento dell’epica. Ed è forse in questo senso che Valhalla Rising consuma una transizione a suo modo storica tra due mondi culturali, e tra due prospettive.
Certamente Quentin Tarantino è uno dei modelli principali del regista danese. Ma non c’è quasi nulla qui – così come nel precedente Bronson (2008) – di quel sistema citazionistico in maniera esasperata, e in definitiva autoreferenziale. L’opera di Tarantino consiste nella creazione di una mitologia popolare efficacissima, universale, che però non intrattiene alcun legame con la realtà del mondo, e che è invece tutta interna all’universo cinematografico.
Valhalla Rising parla di cose serie: la morte, la vendetta, il sacrificio, la redenzione e la profezia. Il film conserva un nucleo indiscutibilmente perturbante, e nel silenzio di One Eye anche noi, come i suoi compagni di viaggio, possiamo leggere una rivelazione inquietante: “Non lo sentite parlare?” “E che cosa dice?” “Che siamo all’inferno.”
Rispetto agli anni ‘90, è il sistema complessivo di valori a essere radicalmente mutato. Alterato. La violenza non è più una decorazione, ma piuttosto una funzione. Davvero questo cinema, così adrenalinico e al tempo stesso meditativo, ci appare più adatto e in sintonia con un’epoca decisamente apocalittica come quella attuale.
Giulia Pezzoli e Christian Caliandro
Nicolas Winding Refn – Valhalla Rising
Danimarca/UK – 2009 – 93′
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