Un eroe dei nostri tempi
“Drive” è una fiaba. Una fiaba moderna, certo, ma con la struttura e i contenuti di quella letteratura tetra e perturbante che spesso accompagna l’infanzia. C’è un eroe, una fragile damigella da salvare e un cattivo (anzi, in questo caso ce ne sono due).
L’eroe di Drive (2011), l’ultimo film di Nicolas Winding Refn, è un driver, uno stuntman dell’industria cinematografica di Hollywood durante il giorno e un autista per la criminalità di notte. Non sappiamo esattamente se per denaro o per puro divertimento, ma lui (Ryan Gosling) guida ed evidentemente lo fa particolarmente bene, perché si procura i favori dei suoi datori di lavoro diurni e diviene una specie di piccola leggenda per chi lo impiega di notte. Vive a Los Angeles, in un appartamento vicino a quello della sua bella eroina Irene (Carey Mulligan) e del suo giovanissimo figlio. Il marito/padre è in galera e al suo ritorno la romantica storia d’amore tra i due (strettamente platonica) dovrà interrompersi bruscamente per lasciare spazio alla violenza e alla vendetta.
Diviso in due parti nettamente distinte, il film rispecchia la vita del suo protagonista: nella prima è la purezza di Drive a emergere forte e chiara, un giovane uomo, abilissimo, anzi incredibile in ciò che fa e in come lo fa, che si innamora innocentemente di una donna rimasta sola, con un bambino da accudire e mantenere. Poi l’affare si complica. Pur di proteggere Irene e la sua famiglia, il nostro eroe decide di aiutare il marito appena rilasciato e già minacciato da chi fino al giorno prima gli aveva garantito l’incolumità. Deve aiutarlo a scappare dopo una rapina a un banco dei pegni: apparentemente nulla di nuovo né di particolarmente difficile per lui, ma questa volta il colpo è una trappola. Standard (il marito di Irene) viene ucciso e da quel momento in avanti il protagonista comincia la sua metamorfosi. Da giovane di buon cuore, Drive si deve trasformare definitivamente nell’eroe inscritto nel suo Dna.
Nicolas Winding Refn ancora una volta ci presenta un personaggio mitologico, come lo One Eye di Valhalla Rising, un essere vivente completamente fuori dal tempo e dallo spazio che abita. Un uomo privo di una logica strettamente personale, contraddistinto da una purezza quasi fanciullesca, ma capace di trasformarsi in una furia se vengono minacciate le persone che ama. Lui è ciò di cui gli altri hanno bisogno: Irene è una donna sola e indifesa che deve essere protetta e Drive diviene l’eroe necessario a svolgere questo compito. La luce e la fotografia della città fanno da sfondo a questa dolcissima e inquietante fiaba ambientata in una Los Angeles irriconoscibile, anonima, inquadrata prevalentemente di notte, nelle sue periferie e negli anfratti più nascosti che appaiono e scompaiono dai finestrini delle auto del protagonista.
La sceneggiatura, tratta dal breve romanzo di James Sallis, è stata ristesa più volte da Hossein Amini che, in collaborazione con Refn e Matt Newman (il montatore), ha modificato alcuni personaggi e semplificato le digressioni temporali e le riflessioni sul mondo del cinema di cui è ricco il libro. C’è un costante richiamo alla grafica e all’immaginario degli anni ‘80 che pervade la pellicola di una sorta di “atmosfera vintage” (dal giubbotto del protagonista ai titoli di testa), ulteriormente sottolineata in alcuni punti dai pezzi che compongono la bellissima colonna sonora.
Come già in Valhalla Rising, la violenza dei film di Refn è mero strumento di salvezza. È funzionale al cambiamento, è rivoluzione esistenziale necessaria perché richiesta dal mondo circostante. Nessun superpotere, nessuna magia: in ogni uomo esiste un eroe dormiente, capace di svegliarsi per difendere l’amore nella propria vita.
Giulia Pezzoli
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La recensione di Valhalla Rising
Nicolas Winding Refn – Drive
USA / 2011 / 100’
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