Storie di donne e neonati. Uccisi
Clara, Rina, Eloisa e Vincenza: quattro donne diverse per origini, lineamenti, colori e temperamento. Eppure legate da un destino comune: quello di essere infanticide. Tutte e quattro, infatti, sono rinchiuse in un ospedale psichiatrico giudiziario per aver ucciso i propri figli. E in fronte hanno stampata una S: la S di “senso di colpa”.
Nonostante siano infanticide, non ci è concesso vedere le quattro protagoniste di Maternity Blues come mostri: ne scopriamo la storia, le sofferenze, le radici di un raptus di follia che le ha portate a compiere un atto così estremo, e scopriamo la loro umanità, la solidarietà che sanno dimostrarsi reciprocamente, la voglia di andare avanti che c’è in loro e che però fa a pugni col senso di colpa che quotidianamente cerca di distruggerle.
Il regista Fabrizio Cattani trae la storia dal testo teatrale From Medea di Grazia Varesani. Come ha raccontato egli stesso in occasione dell’anteprima del film al Teatro Litta di Milano lo scorso 24 novembre, ha scelto di rappresentare questa storia per la forza di un archetipo che al cinema non era mai stato mostrato. E sicuramente non è mai stato mostrato, perché non è una storia facile, né piacevole: è un pugno nello stomaco.
Ed è sorprendente come un regista uomo possa dimostrarsi così acuto e profondo nel sondare la psiche femminile, e nel raccontarla con maestria, forza ed equilibrio, con dialoghi mai banali. Certo, molto si deve a un cast originale ed eccezionalmente assortito: Andrea Osvart (Clara) riesce a mettere a tacere i pregiudizi su una showgirl diventata attrice, perché in questo ruolo di donna sciupata e distrutta è perfetta. Marina Pennafina (Vincenza), vessata da un marito violento e dal peso dei figli, è profonda e materna con le altre.
Ma le interpretazioni davvero straordinarie sono quelle di Chiara Martegiani e Monica Barladeanu. Chiara è Rina, ragazza-madre che ha affogato la figlia nella vasca da bagno: di una dolcezza assoluta, sembra lei stessa una bambina, anche se ha il vizio dell’alcol; sogna un amore e ne vive un surrogato per corrispondenza. Monica, invece, che è stata la protagonista del film Francesca di Bobby Paunescu, è Eloisa, che si è costruita una facciata di cinismo e aggressività, e per questo viene punita da altre donne dell’ospedale. Si trucca, si veste provocante, ma è distrutta dentro. Eccezionale, drammatica, forte.
Un film scabroso ma bellissimo, premiato a Venezia nella sezione Controcampo Italiano e al Festival du Film Italien de Villerupt. Sicuramente diverso dagli standard del cinema italiano, dove tutto quanto è tragedia viene evitato: la tragedia fa paura. E invece a volte è giusto farlo un salto nel tragico, perché aiuta a comprendere meglio noi stessi, gli abissi dell’animo umano e l’insostenibilità di una distinzione manichea fra bene e male.
Perché guardando Maternity Blues questo emerge: in ognuno di noi c’è il bene e il male, ognuno ha una parte oscura con cui deve fare i conti, più o meno elevata e che può prendere il sopravvento quando meno ce lo si aspetta, se la si ignora, la si reprime o non le si dà il giusto spazio. Loro sono donne come noi, noi potremmo essere loro.
Silvia Novelli
Fabrizio Cattani – Maternity Blues
Italia / 2011 / 95’
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