Woody Allen e Roma? Flop colossale
Diciamolo subito, a scanso di equivoci: questo film è un disastro. Dario Argento l’ha definito, a ragione, “peggio delle commedie italiane, che è tutto dire”. Si parla dell’ultimo film di Woody Allen, ambientato in una Roma (e in un’Italia) che più finta non si può.
Dopo la prova tutto sommato interessante di Midnight in Paris (2011), con il suo discorso sulla nostalgia culturale (certo non originale, ma non privo di spunti e sprazzi luminosi) calato a dovere nella Parigi degli Anni Venti, To Rome with Love, terzo capitolo della “saga” di Woody Allen sulle città europee inaugurata con Vicky Cristina Barcelona (2008), rappresenta una paurosa caduta di stile nella filmografia del regista newyorchese.
Le evidentissime sconnessioni narrative nella sceneggiatura – un montaggio di episodi tirati decisamente via – unite all’assenza totale del minimo approfondimento psicologico nella definizione dei singoli personaggi testimoniano certamente una grande superficialità nella costruzione di questo oggetto-prodotto. Ma sono anche, forse, la spia di un problema più ampio e profondo, che ha a che fare proprio con il ritratto della Città Eterna proposto da questo gigantesco e inefficace spot pubblicitario.
To Rome with Love è infatti una sorta di “ultra-cartolina”. Il senso di queste “riproduzioni” cinematografiche urbane è stato del resto spesso identificato come totalmente finzionale e calato dall’alto. Basti dire che nel 2007, immediatamente prima della crisi, il comune di Barcellona versò 1 milione di euro, e la Generalitat de Catalunya (il Governo Regionale della Catalogna) mezzo milione, una cifra equivalente al 10% dell’intero budget del film, scatenando un vespaio di polemiche nell’opinione pubblica e sui media (secondo un sondaggio del quotidiano catalano El Periodico, il 75% della popolazione locale considerava “eccessivo” questo finanziamento pubblico). Da parte sua, il regista promise che il film sarebbe stato una “love letter to Barcelona, and from Barcelona to the world”. Il risultato di questa “lettera d’amore” si rivelò, come tutti sanno, piuttosto modesto sotto ogni punto di vista.
Questo caso va oltre, e gli aspetti a modo loro interessanti di questa impresa sono relativi proprio all’immaginario della città. Dario Argento coglie infatti un punto importante dell’intera faccenda: è impressionante vedere il cinema di Allen che mima la commedia italiana recente nei suoi aspetti più beceri, insulsi, insignificanti. Persino l’episodio dei tre che costituisce un calco de Lo sceicco bianco (1952) di Fellini sembra l’equivalente narrativo di una maschera mortuaria. Il modello originale viene infatti svuotato di ogni vita, di ogni contenuto, di ogni tensione morale: rimane solo una vacua commedia degli equivoci, in cui gli equivoci non sono neanche concatenati, cioè plausibili.
Tutti i personaggi sono proiezioni immaginarie dell’autore (e fin qui va bene), che però non si calano minimamente nella realtà urbana che visitano o vivono. I giovani coniugi di Pordenone indossano inspiegabilmente abiti “Anni Cinquanta” (ancora il modello vagliato nostalgicamente…), e nell’Italia del 2012 considerano in tutta tranquillità, alla fine delle rispettive peripezie, l’ipotesi di farsi ridare il vecchio lavoro nella città natale, come se fosse una cosa di tutti i giorni.
Nulla della società italiana contemporanea sfiora mai i protagonisti e lo sguardo dell’autore sulle loro vicende. Persino l’anonimo impiegato Benigni vive in una bella casa semi-centrale, un appartamento confortevole in cui – dagli arredi alle relazioni familiari – regnano gli Anni Sessanta o Settanta. Questi personaggi sono sagome di cartone agitate in spazi fisici e drammatici che funzionano come “case di bambole”. Questa assenza di vita si riflette, naturalmente, anche sulla città: Roma stessa appare come un’immensa, suggestiva casa di bambole, o meglio, come una boule. Un souvenir immaginario per tutti gli spettatori d’Oltreoceano che sognano di visitare la “città d’arte” e le sue rovine imbalsamate e “carine” – nulla sapendo, né prima né dopo questa visita spettacolare, della rovina vera e interessante che è diventata l’Italia tutta (Roma, quella autentica, compresa).
La sintesi perfetta di ciò che sostiene tutta l’operazione – che è colossale nella sua irrilevanza – la fornisce lo stesso Woody Allen nella battuta messa in bocca all’ex-autista di Benigni-Pisanello in una delle ultime scene: “La vita è comunque difficile, sia che tu sia ricco e famoso, sia che tu sia povero e sconosciuto. In ogni caso, è molto meglio se sei ricco e famoso”. Anche e soprattutto, possiamo aggiungere, se sei un regista alle prese con un film imbarazzante.
Christian Caliandro
Woody Allen – To Rome with Love
USA-Italia-Spagna / 2012 / 111′
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