Dietro lo schermo
Da pochi giorni in sala, un film dedicato nientemeno che a Marilyn Monroe. Alla sua vita, anzi, a una porzione tutto sommato minuscola della sua vicenda biografica. La firma registica è di Simon Curtis, la sceneggiatura da un libro di Colin Clark. Forse troppo riduttiva.
Una sfida non semplice, quella intrapresa da Simon Curtis. Lavorare, per la prima volta nella storia del cinema, sull’immagine di una delle più grandi dive di Hollywood, Marilyn Monroe, in un film basato sul romanzo biografico My week with Marilyn scritto da Colin Clark, terzo assistente alla regia nella produzione de Il Principe e la Ballerina nel lontano 1956.
Solo una settimana quella di conoscenza reciproca intensa e ravvicinata tra il giovanissimo assistente (un 23enne alla sua prima esperienza lavorativa) e la diva hollywoodiana oramai affermata a livello internazionale (all’epoca erano già usciti film come Gli uomini preferiscono le bionde e Quando la moglie è in vacanza). Una settimana che narra il backstage delle riprese, le difficoltà di lavorazione, l’inquietudine e la freddezza di un set troppo “inglese”, in cui evidentemente la Monroe non si era trovata a suo agio sin da principio. Il difficile rapporto con Laurence Olivier, il regista dell’unica (e ultima) produzione della Marilyn Monroe Production (di cui però non si fa menzione nel film). L’ossessiva presenza di Paula Strasberg che, come una madre sostitutiva, la accudiva e la seguiva passo passo, insegnandole il metodo di recitazione più all’avanguardia dell’epoca. Lo sguardo giudicante del marito e commediografo Arthur Miller, con cui stavano iniziando i problemi che l’avrebbero portata all’ennesimo divorzio.
Tutto questo c’è. Curtis è metodico e non tralascia nulla di ciò che già conosciamo della vita privata e della tanto chiacchierata personalità della diva. Ma Marilyn è un personaggio particolarmente complesso da raccontare e forse una rigorosa precisione non è sufficiente.
Nonostante ci si trovi davanti a un’interpretazione magistrale della Williams e a una altrettanto eccellente di Branagh, la pellicola non potrebbe sopravvivere da sola. O forse il romanzo stesso non ha le potenzialità per diventare una sceneggiatura. Marilyn manca di potenza, si costruisce su un periodo temporale troppo ristretto per avere il respiro ampio di un film biografico, eppure sembra volerlo in qualche modo seguire, rimanendo soffocato in un’infinità di dettagli, cogliendo ogni spunto per ricordare allo spettatore l’infanzia difficile della protagonista, i divorzi, gli aborti, le delusioni professionali, l’insicurezza davanti ad attori e attrici affermati a cui i media non avevano affibbiato un’immagine di “leggerezza” umiliante e vincolante come la sua.
Tutto si concentra su episodi fugaci che sottolineano e confermano l’immagine che già tutti conosciamo: quella di una donna debole, instabile, psichicamente vacillante, infelice, insoddisfatta, prigioniera del suo aspetto e del suo personaggio, incessantemente alla ricerca di amore. Marilyn non aggiunge e non toglie nulla a ciò che già sappiamo: si limita a confermare con sussiego un’ormai assodata visione popolare.
Va tuttavia riconosciuto alla Williams un’eccellente prova attoriale che, nonostante la difficoltà evidente di interpretare un’icona di bellezza e di sensualità di questa portata (strettamente vincolata alla sua stessa immagine), non delude lo spettatore. La sua versione della Monroe è convincente, ne trasmette con abilità la disperata sensualità (più spesso usata come arma di seduzione per ottenere conferme) e la fragilità caratteriale, l’insicurezza e l’incapacità di affrontare a testa alta il mondo a cui appartiene, il terrore e lo spaesamento di fronte alle critiche dei suoi colleghi, la paura dell’abbandono e l’incontrollabile bisogno di elemosinare affetto.
Giulia Pezzoli
Simon Curtis – Marilyn
UK / 2011 / 99’
cinema-tv.corriere.it/marilyn/
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