Detachment. E la deriva di un’epoca
Dalla macchina da presa di Tony Kaye (American History X), tutto il distacco fallimentare di Henry Barthes, insegnante di letteratura in un liceo pubblico. Che diventa l’emblema del crollo del sogno americano.
Non è la prima volta che Tony Kaye, regista di spot pubblicitari e videoclip ma anche del noto American History X, affronta un delicato tema sociale. Già all’epoca raccontò la parabola di un naziskin, straordinariamente interpretato da Edward Norton, facendo emergere tra paradossi e mille sfaccettature le deflagranti tensioni che incombono tra i “losers” d’America. Ma non si può fare a meno di notare come la rabbia incontenibile e velenosa che pervadeva il tessuto del suo primo film abbia lasciato posto in Detachment a un sentimento di rassegnata disperazione.
Henry Barthes, professore taciturno e introverso, perfettamente incarnato dal dolente Adrien Brody, esercita il distacco come un’arma di difesa. Insegnante di letteratura, supplente per una scelta precisa, che gli permette di evitare accuratamente l’attaccamento verso qualcosa o qualcuno, accetta un nuovo incarico in una degradata scuola di periferia. La scuola si fa micro-cosmo, luogo al contempo concreto e simbolico in cui confluiscono le frustrazioni di docenti impotenti e adolescenti allo sbando, in ambo i casi elusi dal mondo in totale assenza di prospettive.
La denuncia delle condizioni di degrado sociale in cui versano le strutture scolastiche dei quartieri difficili non è certo cosa inedita. Da Gli anni in tasca (L’argent de poche), film del 1976 di François Truffaut (a dimostrazione del fatto che il problema non è americano né recente), passando per il patinato e artificioso Pensieri Pericolosi (Dangerous Minds) di John N. Smith o il più lirico Scoprendo Forrester (Finding Forrester) di Gus Van Sant, fino alla Palma d’Oro La classe (Entre les murs) di Laurent Cantet, diversi registi hanno affrontato l’argomento secondo gli approcci e le forme più diverse.
Tony Kaye sceglie di realizzare un film di stampo “indie”, gestendo il racconto attraverso la frammentazione e l’alternanza di episodi, materiali e stili. Mockumentary, animazione, super 8 sbiaditi, realismo e onirismo, per comprimere in questa storia tutti i mali che rendono abietta la nostra società: famiglie assenti, molestie e abusi di ogni genere, suicidi, prostituzione, bulimia e molto altro. Tutto consumato all’interno di un sistema cinico e indifferente che, invece di apportare soluzioni, si accanisce “contro”.
Forse troppo per un film sulla scuola. Molto calzante invece in un film generazionale dal respiro più ampio, che parla di caduta degli ideali e del fallimento di una società (la scuola) che non è riuscita a mantenere le sue promesse rendendoci speciali e unici come invece pensava di fare: “Alcuni di noi credevano di poter fare la differenza, ma poi a volte ti svegli e, semplicemente, realizzi di aver fallito”. È il crollo definitivo del sogno americano. E il ritratto impietoso di una società squallida e in rovina come la Casa degli Usher che Barthes cita nelle inquadrature conclusive, rivolgendosi a un’aula vuota e spoglia mentre tutto intorno sono solo macerie.
Beatrice Fiorentino
Tony Kaye – Detachment
USA / 2011 / 97’
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