Applausi a Venezia. Per Kim Ki-duk
Finalmente applausi alla Mostra del Cinema. Kim Ki-duk con la sua “Pieta” è il primo davvero in lizza per il Leone d’Oro. Mentre in queste ore passano in sala la portoghese Valeria Sarmento e poi Harmony Korine.
Per coerenza espressiva, ricerca estetica, struttura narrativa e annessi, Pieta di Kim Ki-duk è la cosa migliore in concorso vista finora. È un film istintivo quanto razionale ed emerge il passato in studi di belle arti che il regista ha compiuto a Parigi. Finalmente si sono viste facce soddisfatte all’uscita dalla proiezione e un grande scroscio di applausi finale non lascia dubbi sulla posizione della critica.
Con una fotografia sublime giocata su tre colori dominanti – rosso ciliegia, verde bottiglia e prugna -, ogni inquadratura è concepita e orchestrata nei dettagli. Ogni gesto e ogni atto suggeriscono una precisa interpretazione. Rimandano a traumi ancestrali insolubili. Sadismo, masochismo, complessi edipici sono alcuni dei temi toccati, che però non sono mai trattati con ovvietà. Il film ha qualcosa di diverso da tutti i precedenti e forse strizza l’occhio al Park Chan-wook di Old Boy, anche lui sudcoreano. Poetica la fine con la lunga scia di sangue sulle note del Kyrie eleison.
La storia è ambientata a Cheongyecheong, una storica area suburbana di Seoul dove si lavorava il metallo. Un set degno di un padiglione della Biennale, con cumuli di sfoglie di metallo colorato e arruginito, stampi, frese e presse manuali. Ci si ritrova subito catapultati al centro dell’azione. Un uomo assunto da un usuraio vive di strozzinaggio minacciando brutalmente le persone per la riscossione dei debiti. Senza affetti e senza quindi nulla da perdere, continua la sua vita privo di compassione per le pene causate alle vittime. Quando un giorno una donna gli appare davanti dichiarando di essere sua madre, lui freddamente la rigetta, ma finisce per accettarla presto nella sua vita. Decide quindi di interrompere il suo lavoro crudele e di vivere decorosamente. Ma all’improvviso la madre viene rapita… Supponendo che si tratti di ritorsione, comincia a cercarla da coloro a cui aveva fatto male in passato. Alla fine trova il nesso, ma solo per scoprire una verità molto più terrificante.
I due personaggi principali, la donna misteriosa (Mi-sun alias Cho Min-soo) e lo strozzino (Kang-do aka Lee Jung-jin), sono due interpreti persuasivi. Lei ritrae perfettamente la sublime e provocante donna della Pieta tanto da guadagnarsi l’epiteto del regista “Raven-haired Mary” (Vergine dai capelli corvini). Lui, amato dal regista per duttilità ed empatia, fornisce una performance impassibile di un uomo che conduce una sordida e solitaria esistenza. Alcune note di produzione raccontano che anche Kim Ki-duk fosse in stato di grazia durante la produzione, tanto che le riprese sono andate a termine in tempi incredibilmente brevi.
Il film è stato girato con due camere per duplicare l’efficienza. Mentre il direttore della fotografia, Jo Yeong-jik, che meriterebbe un riconoscimento, teneva la prima macchina, Kim Ki-duk reggeva la seconda dirigendo gli attori. Proporzioni 7:3. Il film è ben coreografato in generale, ogni ripresa ha angoli anticipatamente studiati. Ma nelle scene dove le emozioni dei due attori principali sono più intensem il regista era così assorbito e teneva la seconda camera così vicina ai personaggi da ostruire la camera principale, che riusciva così a riprendere solo la sua schiena…
“Il denaro inevitabilmente mette le persone alla prova in una società capitalista”, ha dichiarato il regista, “e oggi la gente è ossessionata dall’idea che i soldi possano risolvere qualsiasi problema. Purtroppo sono anche la causa della maggior parte degli incidenti che accadono. Dalle grandi guerre ai più banali crimini, credo che noi tutti vivendo in questa epoca siamo complici e peccatori di cose come queste. Poiché non c’è nessuno che non abbia un dio, ho deciso di intitolare questo film ‘Pieta’ per chiedere grazia”.
Federica Polidoro
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