La mafia che parla giapponese. Kitano al Lido di Venezia
“Outrage Beyond” di Takeshi Beat Kitano è il sequel di “Outrage”, riprende il racconto sulla Yakuza laddove finiva il primo film. Un poliziotto manipolatore innesca una lotta di potere tra le due maggiori famiglie mafiose. Segue ecatombe. Difficilmente riceverà un Leone alla Mostra del Cinema di Venezia.
“Nandayo!!” La famiglia Sanno è diventata una enorme organizzazione criminale, espandendo i suoi tentacoli in politica e in affari legali. Poiché è ora guidata da un giovane che si muove nell’ambito dell’alta finanza, la vecchia guardia comincia a provare risentimento per essere stata messa da parte.
La vulnerabilità del momento è colta dal detective anti-gang Kataota, che ne approfitta per scatenare una reazione a catena. Con l’intenzione di istigare un conflitto tra i Sanno e gli Hanabishi, i loro segreti alleati, affinché si sterminino a vicenda, il subdolo detective riesce a far credere che il presidente Kato ha ottenuto il potere con un imbroglio. Ma ancora non ha usato il suo asso nella manica. Otomo alias Takeshi, boss di una famiglia sterminata dai Sanno, viene rilasciato dalla prigione con anticipo. Ciò determina la forte tensione dei Sanno, specialmente di Ishihara, il cui tradimento ha portato Otomo in galera.
Parte una caccia all’uomo il cui bersaglio è Otomo, ma lui non ha intenzioni vendicative. Non vuole neanche più essere uno yakuza. Kataota riesce tuttavia a convincere Otomo in una collaborazione con la polizia contro i Sanno. A questo punto Otomo e Kimura, sottocapo di un’altra famiglia sterminata dai Sanno e colpevole del colpo di grazia per l’incarcerazione di Otomo, si alleano.
Il primo quarto d’ora è davvero difficile da seguire, poi si entra nell’azione: Kitano delizia la platea con inverosimili sparatorie, un sound design a base di trapani, torture giapponesi, squash di coltelli e macelleria varia senza scivolare nello splatter. Il film si attarda nelle minuzie per descrivere il meccanismo complesso di tradimenti, sotterfugi e doppi giochi, dove non è mai chiaro chi dovrà soccombere per mani di chi.
Giocato in ambienti bui e chiusi con l’eccezione di qualche scena in strade vuote e, comunque, fuori dal centro cittadino, espone un universo grigio e senza sorriso, dove i personaggi si confondono. Solo Kitano rimane memorabile nel suo cinico umorismo, con un finale che calza a pennello nella sua asciutta spietatezza. Ma senza lo smalto di una volta.
Federica Polidoro
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