Atlantic City alla sicula
In attesa che anche in Italia venga trasmessa la terza serie di “Boardwalk Empire”, facciamo il punto su una fiction targata HBO. Il nume tutelare è nientemeno che Martin Scorsese.
Piace a tutti, meno che a Raffaele Lombardo: forse in debito di visibilità, il Governatore della Sicilia pare abbia da poco scritto alla produzione, chiedendo il solito pietoso buonista riconoscimento all’integrità di una terra ancora una volta (chissà poi perché) avvicinata alla mafia. Detto questo, Boardwalk Empire è un successo su tutta la linea. E non poteva essere altrimenti. L’emittente è la stessa HBO che ha costruito il successo The Sopranos, tra i produttori ci sono Martin Scorsese e Mark Wahlberg, i protagonisti sono un finalmente maturo Michael Pitt e un immenso Steve Buscemi. Serve altro?
L’Atlantic City del 1919 è un postaccio: il proibizionismo appena varato scatena la speculazione di politici corrotti, amministratori puttanieri e giovani ambiziosi lestofanti italo-americani. Un imberbe Al Capone e un ventenne Lucky Luciano se la vedono con il magnifico Nucky Thompson, mammasantissima irlandese della città, per tutti irreprensibile tesoriere del Comune ma in realtà fulcro di un’attività criminale tanto sfacciata da risultare grottesca, esercitata con meticolosità e pervicacia nei campi del gioco d’azzardo e – chiaramente – del commercio illegale di alcolici.
Prima serie già metabolizzata a dovere su Sky e ora in chiaro su Rai 4; seconda serie chiusa a dicembre in America; terza serie in onda ora negli States. Boardwalk Empire viaggia su ritmi altissimi: ascolti in crescita costante in Usa, con l’ultima puntata della seconda serie che si avvicina – tra “prima” e replica immediata – ai 4 milioni di spettatori, con un calo di appena il 10% rispetto all’epilogo della serie d’esordio.
Che dire? “A mafioso story with a twist”, o meglio: ben più di un twist. Giravolte e colpi di scena a raffica nell’impaginazione di un plot che conferma il favore del pubblico per lo sradicamento dei tradizionali rapporti valoriali tra eroe e antieroe. Dopo Dexter e Breaking Bad, un’altra prova machiavellica, centrata sulla legittimità del male e la banalità del bene, sul rimpasto di una morale viziata: chi è buono impara a proprie spese l’opportunità della perversione; chi è cattivo paga le cadute nella sensibilità. Non ci vuole un Bachtin catodico per capire come, oggi, il senso di spaesamento sociale contribuisca al successo di eroi disintegrati, fragili a prescindere.
Francesco Sala
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #6
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