Saramago va al cinema
Nelle strade trafficate di una non precisata metropoli dei nostri giorni si verifica all’improvviso il primo di una lunga serie di casi di “cecità bianca”. Un virus di origini ignote, aggressivo e contagioso, fa strage tra la popolazione…
Chi viene colpito dal morbo che è protagonista di Blindness vede solo un chiarore abbagliante, una luminosità in cui nulla è riconoscibile. Prima che il panico si diffonda, le autorità decidono di isolare i contagiati in strutture di fortuna (ex manicomi, ospedali in disuso, caserme in rovina) abbandonandoli al loro destino.
Tra i primi a essere messi in quarantena, un oculista (Mark Ruffalo) e sua moglie (Julianne Moore) che, inspiegabilmente immune alla malattia, si finge cieca per stare accanto al marito. Sarà lei a cercare di governare con dignità e umanità i malati all’interno della struttura, ma ben presto sovraffollamento, sporcizia e mancanza di cibo trasformeranno la convivenza in un inferno, in un’inarrestabile discesa verso la violenza e la prevaricazione. Sarà un incendio a costringere i malati a uscire finalmente dal lager, per catapultarli in un mondo deserto e abbandonato. Il virus ha vinto e l’intera umanità è in preda all’anarchia e alla violenza. Poi, all’improvviso, una mattina il primo malato riacquista la vista e la speranza di una possibile salvezza ritorna.
Blindness è una discesa allucinante nel lato oscuro dell’umanità. La visione cupa e grottesca del Premio Nobel José Saramago in Cecità viene rispettata e trasposta in una sceneggiatura fedele che mantiene, attraverso la voce narrante, un contatto stretto con le pagine da cui nasce. È la fragilità della natura umana, nella sua accezione più ampia, la protagonista di entrambe le opere. A confermarlo è la coralità di film e libro, l’assenza di nomi che possano identificare i personaggi, mantenendo un costante equilibrio di “presenze”.
Una Moore dalla recitazione solida e spoglia mantiene la visione (sia in senso letterale che figurato) della collettività, rispecchiando un messaggio di speranza e rinascita. Il resto è l’orrore e la regressione di un mondo che tuttavia appare già malato di indifferenza e crudeltà prima del contagio. Un’impresa difficile, quella di Meirelles, che riesce però a lavorare efficacemente e con metodo. Attraverso un montaggio serrato e una fotografia intrisa di chiarore, il regista gioca con messa a fuoco e definizione, con luci e ombre degli interni, portando lo spettatore in una sorta di indefinita confusione, dove nemmeno voci e rumori sono più perfettamente udibili.
Giulia Pezzoli
Fernando Meirelles – Blindness
Canada-USA-Brasile | 2008 | 121’
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #9
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