Quando i deportati erano omosessuali
Crimini e follie naziste nell’ultimo film del regista cagliaritano Giovanni Coda. Un altro brano di memoria in un documentario che strizza l’occhio alla videoarte. Per una storia crudele e impegnata.
Tra le follie compiute dai nazisti durante la Seconda Guerra, innumerevoli furono quelle che colpirono la comunità omosessuale. Una delle vittime sopravvissute agli orrori, Pierre Seel, non ce la fece a portarsi dietro il peso delle sofferenze, così nel 1995 decise di venire allo scoperto con una bella autobiografia, Moi, Pierre Seel, déporté homosexuel, libro tradotto in diverse lingue ma mai in italiano, a cui il regista cagliaritano Giovanni Coda s’è ispirato per il suo delicato Il rosa nudo.
Dopo quattro anni di lavoro e di cura maniacale per ogni dettaglio, il film (presentato il mese scorso a Barcellona e un paio di settimane fa a Torino), si apre al grande pubblico con la prima proiezione nel Cineworld di Cagliari. Un lavoro per non dimenticare, sottolinea Coda, “perché la Giornata della Memoria è oggi, era ieri e sempre sarà”. E in effetti, che nel 2013 ci sia tutta una comunità ancora a reclamare diritti, è cosa ben vera se si pensa alle difficoltà nella produzione: “Il film è stato girato interamente in fund raising”, racconta il regista, “cioè raccogliendo risorse dai privati, perché quando abbiamo cercato fondi pubblici non abbiamo ricevuto alcuna risposta”. Sarà per questo che di politici non se ne sono visti alla presentazione, ma tant’è: “Con loro in questo momento non abbiamo niente da condividere”, taglia corto Coda. Che invece si emoziona quando parla di Pierre Seel, morto nel 2005: “Aveva solo 17 anni quando i nazisti lo arrestarono”, ricorda Giovanni Coda. “Una volta portato nel lager di Schirmek, vicino a Strasburgo, fu testimone degli orrori più atroci: dagli esperimenti sugli omossessuali per trovare una cura a quella che era considerata una malattia, alla morte del suo compagno, sbranato dai cani”.
La successiva liberazione e il conformarsi a una vita “normale” (si sposò ed ebbe tre figli) non bastarono a spegnere il dolore di Seel, che nel 1995 raccontò tutto. Fu riconosciuto come vittima ma perse l’affetto dei suoi cari, che non accettarono la sua omosessualità. Tutto questo è ricostruito con delicatezza e poesia nel film in bianco e nero di Coda, un’opera di “cinematografia sperimentale” a metà tra il documentario e la videoarte, che il regista definisce “integrale e indipendente”. Settanta minuti girati negli interni di un’ex cartiera e di un ex poligono di tiro vicino a Cagliari, ad accentuare il senso di oppressione, che fanno rabbrividire, indignare, emozionare ma soprattutto riflettere. Giovanni Coda invita a farlo anche con una frase della biografia di Seel: “Ci fu un momento in cui compresi che la liberazione, quella vera, era per gli altri”.
Sabrina Zedda
Giovanni Coda – Il rosa nudo
Italia | 2013 | 70’
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