Obscured by clouds: “Man of Steel” e “Into Darkness”
I migliori e i più interessanti tra i fumettoni cinematografici recenti sono in questi momenti decisamente oscuri. Il merito principale va indubbiamente all’influenza – diretta e indiretta – di Christopher Nolan e della sua trilogia dedicata a Batman. Ora però sono in campo registi come Zack Snyder e J.J. Abrams.
Con il successo della trilogia dedicata a Batman (Batman Begins, 2005; The Dark Knight, 2008; The Dark Knight Rises, 2012), Christopher Nolan è riuscito a imporre uno stile e ad ampliare indefinitamente i confini del reboot, trasformandolo da semplice operazione di repackaging a riconfigurazione radicale della forma e del contenuto narrativo sulla base di una visione. In azione in questi film vediamo infatti l’embrione di un sistema di valori e, al tempo stesso, il riflesso potente dello Zeitgest. Lo spirito del tempo della crisi.
Non a caso, Nolan è anche l’autore del soggetto e il produttore di Man of Steel, diretto da quello Zack Snyder che si è saputo imporre negli ultimi anni, nelle strettissime maglie del blockbuster – immaginiamo non senza enorme fatica -, come autore originale (Dawn of the Dead, 300, Watchmen, La leggenda di Ga’Hoole). Così, questi film sono tutti dominati dal senso della fine, da un’apocalisse che non è più imminente ma ormai pienamente dispiegata: il mondo non sta più per finire, ma sta già finendo (o, nel caso di Krypton, è già finito).
Certo, si tratta pur sempre di un’apocalisse fumettistica, grossolana, mainstream: un’apocalisse tutta esplosioni, colonne di fuoco, pianeti che implodono, minacce molto oggettive, in cui pochissimo spazio viene lasciato per la declinazione più intima, interiore, psichica. Ma, fino a pochi anni fa, in film destinati principalmente a teenager scene del genere erano semplicemente inconcepibili: voglio dire, Superman che dando le spalle a un Sole morente che illumina in maniera spettrale il suo Kansas devastato (e sempre più somigliante a quello di Dorothy Gale…), davanti allo spietato generale Zod affoga in un oceano di teschi è qualcosa che molto difficilmente si riesce ad associare al tema dell’evasione.
Il Reale, così, invade e colonizza prepotentemente il territorio dell’immaginario. Improvvisamente, la morte sembra essere diventata l’argomento principale di riflessione nel mondo dei supereroi (su carta, va detto, questa presenza dark e funeraria era già piuttosto ossessiva all’altezza degli Anni Ottanta, in piena reaganomics). È come se Nolan, Snyder e il J.J. Abrams di Into Darkness stessero tentando di forzare le convenzioni e i confini del giocattolone hollywoodiano, costringendolo a esplorare zone impervie e mantenendo l’equilibrio tra riflessione e cultura di massa. Lo schema narrativo e formale di questi film è, infatti, molto rigido e definito a priori, quasi bizantino nella sua immobilità: deve iniziare e finire in una certa maniera, devono esserci un certo numero di combattimenti e di colpi di scena ecc. Nulla di diverso, se ci pensiamo, dalla rigidità richiesta allo sviluppo “circolare” della mitografia; solo che qui molto spesso c’è un gradiente molto duro e ampio di “stupidità”, di contenuto per così dire antiumano: assistiamo cioè in genere a storie-non storie, che non trasmettono nulla se non la loro oscillazione visiva e la continua stimolazione sensoriale. Storie vuote, buchi neri narrativi senza il fascino dei buchi neri (buchi neri, in altri termini, che non si espongono in quanto tali allo spettatore, che non lo risucchiano mantenendolo consapevole e anzi accrescendone la consapevolezza).
Questi film stanno probabilmente tentando di reintrodurre e veicolare il fattore umano all’interno di un contenitore progettato per espellerlo del tutto. È ancora l’inizio di un processo, ma è qualcosa che già adesso passa attraverso il contatto diretto con la natura perturbante della crisi e con le sue origini. Sempre più forte si fa infatti il richiamo agli Anni Trenta, sia dal punto di vista visivo (la bellissima scena in cui Jor-El/Russell Crowe illustra al figlio la storia di Krypton e della sua civiltà) che da quello dei riferimenti e dei valori messi in campo: vale sempre la pena di ricordare, infatti, che gli stessi Superman e Batman nascono in piena Grande Depressione.
Christian Caliandro
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