L’arbitro non fa il monaco. Ma Paolo Zucca fa centro
Chi non ama il tema fa un po’ di fatica a entrare nel mood del film di Paolo Zucca, ma quanti in Italia non amano il calcio e tutti gli annessi? Il “rigore” del bianco e nero “segna” sin dai primi minuti una scelta stilistica di un certo peso. Tre storie parallele che confluiscono in una conclusione comune con una chiosa finale da manuale. Prime visioni alla Mostra del Cinema di Venezia.
Ambientato in Sardegna, L’Arbitro di Paolo Zucca vede un coro di personaggi muoversi sullo sfondo di un campionato di calcio di terza categoria; l’ascesa e poi la caduta di un arbitro di livello internazionale confinato alla finale della campagna sarda; infine, una faida pastorale tra due cugini.
Il film si colloca a pieno titolo nella tradizione narrativa italiana, modulandosi attraverso una serie di riferimenti mai soltanto formali. Dalle tinte verghiane si passa a quadri che sembrano presi in prestito alla Sicilia! di Elio Vittorini a opera di Straub e Huillet. Qualche volta lontanamente ciprimareschiano, ma mai così ruvido da far rischiare lo shock anafilattico, Paolo Zucca nell’Arbitro disegna un paesaggio brullo, specchio dei personaggi che lo abitano. Il tocco appena romanzato ne salva l’appetibilità anche per un palato non assuefatto al gusto calcistico. Qualche suggestione western, un pizzico di postmodernità manga alla Holly e Benji e un retrogusto quasi cervantesco montano un risultato piacevolmente compatto e convincente, grazie anche a una colonna sonora asciutta ed efficace giocata principalmente sui temi vintage.
Un po’ neorealista nelle atmosfere, un po’ pasoliniano nel doppio omaggio a L’ultima cena che echeggia l’usanza iconografica di ricreare famose scene della pittura italiana.
Bravi gli attori, primo fra tutti il toscano Marco Messeri con una incisività fisica e vocale che riempie gli astanti di stupore. In forma pure Pannofino, nel ruolo dell’arbitro infame, che in questo ensemble è il più rappresentativo di un certo modus operandi dell’attore italiano della commedia contemporanea. Benito Urgu che fa l’allenatore è straordinario nella sua parte con gli occhiali e il bastone da cieco, una cravatta fazzoletto Anni Settanta, baffo a manubrio e il risvolto sulla gamba destra del pantalone sempre alzato. Interessante anche la costruzione-contrapposizione tra il “protagonista” cristologico Jacopo Cullin e la coppia di antagonisti guidata da un mefistofelico Alessio di Clemente, che sembra uscito da uno sceneggiato in costume degli Anni Sessanta.
Troppo televisiva e sempre macchiettistica la presenza di Geppi Cucciari, confinata a piccole variazioni sullo stesso personaggio. Accorsi purtroppo risulta il meno efficace: pupazzone di gomma piuma, pieno di vene, muscoli e con una pettinatura untuosa da zitello di provincia proprio non regge. Peraltro ogni volta che appare sullo schermo uno si aspetta il pop up di un Maxi Bon mentre ci si chiede cosa ci avrà trovato la Casta… Ottima apertura per le Giornate degli Autori introdotta da un Gosetti sprint e un Sollazzi frizzante in maglietta Lete.
Federica Polidoro
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