Red Family: il ritorno della sostanza
Dopo le prime proiezioni grigie e senza speranza, la proposta del Torino Film Festival si è sollevata lievemente. A partire da una commediola indiana. Secondo report dalla rassegna piemontese.
Nella commediola romantica alla “C’è posta per te” in versione orientale (The Lunchbox, India), uno scambio epistolare tra un vedovo e una moglie tradita non ci permette mai di gioire dell’incontro fra le parti; la rarefazione continua: niente contatto, niente foga né fuga d’amore. Segue l’esilarante non impegnato The Way way back (Usa), dove un ragazzino adolescente maltrattato dal patrigno e oppresso dalla madre doma le sue insicurezze emulando il navigato direttore del parco acquatico di una tipica meta turistica in America, e sottolineo America, dal cui stampo il film non si sottrae neanche per un respiro.
Carina l’idea, ma non parte la molla, di The Grand Seduction (Canada), mentre è di una noia senza giustificazione l’autobiografia di una ragazza di campagna in trasferta a Bangkok per cercar fortuna in Karaoke girl (Tailandia-Usa). Lento e senza svolta Pelo Malo (Venezuela), dove un ragazzino di Caracas viene accusato di essere gay dalla madre brusca e anaffettiva, in una offuscata culla della sessualità, dove il senso di colpa scaccia il desiderio e si accompagna all’insicurezza.
Oniriche e dai colori pastello le disavventure autobiografiche di Alejandro Jodorowsky (La danza de la realidad, Cile), dove gli schiaffi fisici e emotivi padre, rigoroso ebreo-ateo-comunista nella Tocopilla degli Anni Trenta, si alternano alle coccole promiscue della grassa madre tettuta e canterina. Ormai consueta, poi, la figura del prete falso, maniaco, violento, subdolo e blasfemo del thriller-western Sweetwater (Usa) – ottima la fotografia – e a Pif (La mafia uccide solo d’estate, Italia) concediamo di tornare a fare interviste in fiera, piuttosto che recitare.
Vale sicuramente la pena di sottolineare, invece, la dolcezza e la sostanza della commedia sociopolitica Red Family (Corea del Sud) di Lee Ju-Hyoung su sceneggiatura di Kim Ki-Duk. Quattro spie della Corea del Nord si fingono una famiglia per passare inosservati mentre strangolano i traditori e le vittime del capitalismo nella Corea del Sud, dove vivono ormai da anni, confrontandosi con il consumismo, i vizi e le liti dei loro superficiali vicini di casa. Finalmente subentrano valori, tenacia e sentimento privo banalità; dall’atomizzazione della famiglia contemporanea, assistiamo a un dolce e inevitabile avvicinamento tra esseri umani, che proprio nelle inezie della quotidianità si sorprendono ad amarsi come parenti di sangue e smettono di uccidere in nome di una guerra che si perpetra a vuoto: rinunciano alla vita in schiavitù per l’unione nella morte.
Calmissima, infine, la notte di Tangeri in Only Lovers Left Alive (Usa) di Jim Jarmusch, dove la delicatissima, quasi inesistente trama dà polvere alla saga fantasy Twilight e dove l’interpretazione di Tilda Swinton nei canini di un vampiro non si lascia facilmente dimenticare. Adamo ed Eva, i protagonisti, raccontano della fine del mondo attraverso la metafora del sangue, dell’acqua, dell’amore e del nutrimento.
Clara Rosenberg
http://www.torinofilmfest.org/
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