Megalopolis: relitti del panorama urbano del XXI secolo. Documentati al Maxxi
Un diario di viaggio attraverso le metropoli planetarie. Francesco Conversano e Nene Grignaffini raccontano senza concedere picchi di approfondimento lo stereotipo della dimensione urbana: ipertrofica, contraddittoria e perennemente sull'orlo del precipizio. Una serie di documentari presentati al Maxxi di Roma.
L’icona della metropoli rappresenta ed evoca da sempre un insieme di aspetti in cui l’esistenza moderna dell’uomo si riconosce, si fonda e incontra sia i propri traguardi che i propri limiti. Le grandi città sono foriere di possibilità, occasioni e aspettative, ma anche di pericoli, degrado e contrasti sociali. La serie di sei docufilm intitolata Megalopolis, presentata in un ciclo di tre appuntamenti presso il Maxxi, ideata, diretta e sceneggiata da Francesco Conversano e Nene Grignaffini, tenta di descrivere con un sentire inquieto e drammatico la realtà delle megalopoli planetarie.
L’esigenza di raccontare gli orizzonti caoticamente urbani originatisi nel secolo scorso, hanno spiegato gli autori, è emersa in seguito al dato che testimonia come la gran parte della popolazione mondiale si sia concentrata nelle aree cittadine largamente sviluppate. Una tendenza che si è definita in maniera netta e inequivocabile nel 2007. A partire da questo dato si è dunque cercato di fotografare una realtà che si caratterizza per essere sempre più metropolitana, controversa, contraddittoria e affollata: determinando dinamiche di convivenza degli strati sociali che tuttavia sono, in tutte le realtà analizzate, antipodiche e diametralmente opposte e rovesciate. Secondo una simmetria della non equità economica, soprattutto.
Il punto di vista degli autori descrive quindi realtà estreme, al limite spesso del collasso e sull’orlo del precipizio. L’intenzione, come più volte ha ribadito Conversano, è stata quella di mettersi dalla parte dei più deboli e tentare di raccontare il punto di vista degli “invisibili”, dei reietti e dei diseredati. Aspettativa encomiabile, ma sicuramente ambiziosa per il prodotto che è stato realizzato, il quale purtroppo presenta alcuni limiti.
Nonostante una fattura dal taglio tecnico ineccepibile, la sensazione che si ha osservando questi docufilm è quella di guardare un canonico prodotto televisivo, che non aggiunge o toglie nulla allo stereotipo di megalopoli al quale ogni altro programma con velleità di approfondimento ha già abituato il pubblico. Da Los Angeles a Karachi, da San Paolo del Brasile al Cairo in Egitto, da Shenzhen a Tokyo, la contrapposizione tra classe abbiente e una pluralità di paradigmi di povertà risulta ridondante, spesso retorica; l’impressione è di aver sfiorato solo la superficie di realtà estremamente complesse, senza però essere riusciti a focalizzarsi su di una tematica che giungesse davvero a profilare ognuna delle città in modo effettivamente caratteristico. Il messaggio resta sempre quello della desolante ingiustizia e disparità delle condizioni di vita che risulta essere il vero degrado, ma il tutto è raccontato in maniera talmente ortodossa da risultare poco incisivo. La sensazione è di aver creato un prodotto che sostanzialmente soddisfacesse anzitutto i dettami televisivi e che soltanto secondariamente esplorasse le realtà metropolitane presentate.
Altra carenza è il timing, ovvero lo scarto temporale tra la data di realizzazione del documento filmato e la sua presentazione. Infatti le riprese risalgono al 2007-2008, e in quasi sette anni le differenze su alcune situazioni possono essere significativamente cambiate. Questo scarto temporale rende Megalopolis, se non datato, quantomeno tardivo, il che – associato alla mancanza di spunti effettivamente innovativi – ne compromette l’efficacia in termini di attualità e freschezza.
Megalopolis resta così un prodotto televisivo divulgativo che centra a pieno il proprio bersaglio. Ma sfugge a ogni intento ulteriore di introspezione e analisi sociologica, come invece era stato annunciato, preferendo battere percorsi narrativi già largamente rodati.
Luigi Paolicelli
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