I Big Eyes di Tim Burton (e Walter Keane)
È uscito a Capodanno l’ultimo film di Tim Burton. Un’opera senz’altro minore nella sua filmografia. Ma particolarmente interessante per i lettori di Artribune. Il biopic, infatti, racconta la vicenda della pittrice Margaret Keane. E di quella volpe del marito Walter.
Big Eyes è l’ultimo film di Tim Burton (Burbank, 1958). Racconta una leggendaria frode artistica della storia americana. A cavallo tra gli Anni Cinquanta e Sessanta, Walter Keane riscuote un incredibile successo con i suoi bambini dagli occhi enormi. Bambini che dipinge la moglie Margaret, rimanendo nell’ombra.
La storia, tanto vera quanto assurda, attrae nel 2003 l’attenzione di Scott Alexander e Larry Karaszewski, due grandi esperti di biopic: oltre ad avere scritto il film sul comico Andy Kaufman (Man On The Moon) e quello sull’editore Larry Flynt (Larry Flynt – Oltre Lo Scandalo), hanno anche prodotto un film sull’attore Bob Crane (Auto Focus). I due sono affascinati dalle biografie di personaggi minori, emarginati e controcorrente. Con Tim Burton avevano già collaborato alla realizzazione di Ed Wood, “l’uomo che veniva considerato il peggior regista di tutti i tempi”. E in qualche modo Big Eyes è una versione più elegante di quel film: c’è chi pensa che i Keane siano i peggiori artisti di tutti i tempi. Walter Keane, però, non sapendo nemmeno come prendere in mano un pennello, è passato allora come apprezzatissimo artista e ha inventato la commercializzazione di massa dell’arte, al punto che lo stesso Andy Warhol ha detto di essersi ispirato a lui.
Per capire come Margaret abbia accettato di firmare i quadri a nome del marito bisogna calarsi nello spirito dell’epoca, quando le donne erano per lo più casalinghe sottomesse alla volontà maschile. Il percorso di emancipazione di Margaret è quello delle donne americane. Ancora oggi Margaret Keane, 86enne attiva, continua ad attribuire il merito del suo successo al marito.
La sottomissione e la rappresentazione dell’universo naïf dell’arte sono i due poli attorno a cui la storia prende forma. Secondo Derek Frey, produttore esecutivo di Tim Burton, l’arte della Keane ha conquistato l’America perché era il ponte tra il mondo esclusivo dell’avanguardia e le persone normali. Tim Burton conosceva personalmente Margaret Keane e l’apprezzava, tanto da averle commissionato prima il ritratto della sua fidanzata Lisa Mary e poi quello della moglie Helena Bohnam Carter. Avrebbe dovuto essere solo produttore, ma alla fine si è messo dietro la cinepresa. Burton come artista visivo (di recente i curatori del MoMA hanno portato in tutto il mondo la mostra The Art of Tim Burton) ha subito influenza dalle opere della Keane, all’apice della fama durante la sua adolescenza.
Big Eyes, comunque è un film minore del regista, non solo per il budget. Esiste grazie al carisma dei due blasonati protagonisti, perfettamente calati nell’atmosfera kitsch, grottesca ed eccentrica messa in scena da Burton. La recitazione sopra le righe e volutamente fastidiosa di Christoph Waltz così come la versione piagnucolosa di Amy Adams, tuttavia, possono diventare noiose senza generare l’empatia ricercata. Burton ha comunque il merito di aver riportato alla luce un capitolo della storia beatnik della West Coast: le vicende dei Keane prendono piede, infatti, nello storico hungry i, il locale di Enrico Banducci più “in” di San Francisco, dove davanti a un muro di mattoni si esibivano i migliori jazzisti, cabarettisti e comici di quegli anni.
Federica Polidoro
Tim Burton – Big Eyes
USA – 2014 – 106’ – biopic
www.luckyred.it
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