Mostra del Cinema di Venezia. I gemelli De Serio nella baraccopoli
L'11 settembre, data ormai connotata indelebilmente come apocalittica, vedrà la presentazione alla 72. Mostra del Cinema di Venezia, fuori concorso, del lungo e coinvolgente documentario dei fratelli De Serio. “I ricordi del fiume” è girato nel Platz, la gigantesca baraccopoli cresciuta su Lungo Stura Lazio a Torino Nord.
UN FILM DIVERSO DA TUTTO
I due gemelli torinesi Gianluca e Massimiliano De Serio, 36enni, noti soprattutto come artisti ma altresì realizzatori di molte opere documentarie – e pure autori del lungometraggio di fiction Sette opere di misericordia (2012) che può vantare ben 87 partecipazioni a festival nel mondo, con 20 premi vinti più altre 7 nomination – firmano stavolta un prodotto sorprendente, classificabile con molta difficoltà: è sì un documentario di valore umano e sociale, ma si dipana come un puzzle di storie distinte e intrecciate, dunque a suo modo frammentariamente narrativo, per formare un inedito polittico di quotidiane tranche de vie che non possono lasciare indifferenti.
Tra gli alloggiamenti di fortuna del Platz i fratelli De Serio, da sempre interessati alle tematiche delle identità sradicate in continua ridefinizione di sé, avevano già ambientato alcune sequenze della loro opera prima di fiction. Ma nel frattempo, vedendo a poche centinaia di metri da casa loro la bidonville crescere fino a ospitare circa 1.200 persone – di etnie rom, rumena, ungherese, ma anche qualche italiano – e diventare così forse la più grande d’Europa, quando hanno saputo che di quello smisurato labirinto di baracche era previsto un prossimo smantellamento, riconoscendone l’unicità hanno pensato di doverne documentare gli ultimi mesi di esistenza prima che sparisse per sempre. E, dicono, “nel percorso di conoscenza e di riprese, abbiamo compreso che non si trattava tanto di documentarne la cronaca, quanto piuttosto di raccoglierne i ricordi e salvarne le impressioni come in un impossibile atto di resistenza, di trattenimento delle immagini, della dignità, delle parole e dei gesti”.
L’IMMERSIONE NELLA BARACCOPOLI
Si sa, sui campi nomadi si dice tutto e il contrario di tutto; ma le due posizioni di base, opposte, quasi sempre peccano di mancanza di conoscenza diretta. Non qui. Per oltre un anno e mezzo, dall’inizio delle riprese fino alla conclusiva apocalisse delle ruspe che hanno raso al suolo il Platz, Gianluca e Massimiliano De Serio sono riusciti a farsi accettare nelle pieghe più difficili della vita di quel malsano ammasso di casupole costruite con materiali di recupero, digradanti verso il fiume.
“Questo luogo simbolico e cruciale delle nostre periferie, destinato a dissolversi nel nulla, di volta in volta è stato il capro espiatorio delle nostre mancanze, o carne pronta per il macello delle campagne elettorali”, ci ricordano. Ma, per una volta, l’approccio dell’operazione non è ipocritamente contro, né ipocritamente pro. Con un distacco “non troppo freddo”, o se vogliamo con partecipazione “non troppo calda”, i due registi si sono applicati a registrare in un fluviale inanellarsi di piani sequenza – in pura oggettività, senza alcun commento, né razionale parlato, né musicale emotivo – semplici momenti di vita di semplici persone: anziani, giovani, bambini, famiglie in lotta per la sopravvivenza quotidiana.
Così, in modo lontano da tutte le retoriche, permettono anche a noi di penetrare un mondo che giocoforza ci era del tutto sconosciuto e alieno; così anche noi possiamo immergerci in una realtà parallela che presenta, come ovvio e allo stesso tempo in modi inattesi, tutta una serie di sfaccettature nel bene e nel male. L’esperienza che ne risulta è potente, ti s’insinua nel profondo. Ne senti quasi gli odori.
UN’OPERAZIONE DIAGONALMENTE ARTISTICA
Non è un caso che dietro la macchina da presa (letteralmente: i De Serio hanno effettuato in prima persona anche le riprese) ci siano cineasti non convenzionali. La particolarità de I ricordi del fiume sta anche qui, nel rigore adottato nell’operazione: antigeneralista e caparbiamente “estetico”. Abituati a giocare il tutto per tutto in quel che fanno, i due gemelli torinesi affrontano ogni loro impresa immersivamente, come se rappresentasse per loro l’ennesima performance.
È questo che fa di loro un unicum (ma doppio…) nei panorami per loro contigui cinematografico e videoartistico. La loro immersione è totale: “Fare questo film, per noi (come del resto fare qualunque documentario), voleva dire trattenere i ricordi, dare un’opportunità in più alla vita di essere ricordata; voleva dire presentare un luogo vittima di pregiudizi come è nella realtà, o almeno più vicino alla sua realtà, rispetto all’immagine stereotipata dei giornali, dei politici in continua propaganda”.
I ricordi del fiume è dunque un’operazione politica quanto artistica, cinematografica quanto umana. È questa l’idea fondante dell’operare di Massimiliano e Gianluca De Serio, che riesce a riunificare in un unico gesto istanze a volte anche piuttosto distanti fra loro. La loro visione particolare si impone quando affermano di conseguenza: “Il cinema può andare oltre questa immagine comune, viziata dai vari opportunismi. Il cinema documentario, grazie alla costanza, alla presenza, alla vita, alla compassione, può davvero riscattare l’immagine degli ultimi. Anche solo per il fatto che ha l’ambizione, quando riesce a restituirne la dignità, di raccontarne la vita con sguardo libero e vicino. Filmare il Platz per noi è stato un tentativo di andare in questa direzione”.
VITA TUA, VITA MEA
La partecipazione dei due cineasti nelle loro opere è diretta. Anche la vita dei vicini di casa rom diventa la loro vita, non certo un’operazione commerciale o di spettacolo. I ricordi del fiume è adesso un film di due ore e venti di montato finale, ma con alle spalle ben duecentocinquanta ore di girato. Per realizzarlo, per meglio entrare nella problematica da loro vissuta e narrata, Massimiliano è volato anche in Romania, a vedere e registrare l’al di là da cui diversi dei loro protagonisti provengono e dove saltuariamente tornano, in villaggi “puntellati di case un po’ più confortevoli delle baracche torinesi, ma in altrettanta se non peggiore situazione di povertà e precarietà della vita: nulla da coltivare, nulla da comprare o da vendere, nulla da mendicare”.
A malincuore, nel film non hanno potuto inserire nessuna delle sequenze romene. Ma la ricchezza e l’interesse intrinseco del materiale girato risultano tali che è intenzione dei De Serio organizzare tutti i materiali rimasti fuori dal montaggio e presentarli in altre forme, su dvd o web series o altro. D’altronde sono abituati a reinventarsi cinematograficamente l’esistenza. Non solo le loro opere videoartistiche li vedono spesso coinvolti personalmente, non solo i loro documentari finiscono per essere pezzi dichiarati anche della loro vita, ma – a riprova dell’afflato sinceramente sociale che li anima – dal 2012 sono pure i fondatori e gli instancabili gestori del Piccolo Cinema-Società di Mutuo Soccorso Cinematografico, una antiscuola di cinema gratuita, un laboratorio continuo e autofinanziato, che hanno regalato alla disagiata periferia Nord di Torino, tra i quartieri di Falchera e Barriera di Milano.
E anche ciò aiuta a capire meglio la più profonda qualità dei sentimenti di confidenza, immedesimazione ed empatia che riescono a provare e trasmettere, in modo sommessamente epico, a contatto con le esistenze precarie che li circondano e che di volta in volta scelgono di narrare. È compartecipazione. Sincera. Una bella arte del vivere.
Ferruccio Giromini
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