Le passioni di un giudice gelido. È nelle sale il film “La corte”
Finalmente arriva nelle sale italiane il film del regista e sceneggiatore Christian Vincent, vincitore alla 72esima edizione del Festival di Venezia dei premi come miglior sceneggiatura e miglior attore. E l’attore è Fabrice Luchini, protagonista di una impeccabile interpretazione.
Non sensazionale come il cinema d’oltreoceano, ma delicato e profondo, questo film francese, uscito nelle sale italiane da poco più di una settimana dopo aver raccolto due premi alla 72. edizione del Festival di Venezia, non ha forse ancora svelato il suo intrinseco potere rivelatore sull’essenza della vita, delle relazioni umane e della giustizia. Questa creazione umana, che accompagna la storia dell’uomo fin dalle sue più remote origini, è un tema che scinde colui che la applica e la affronta, sezionando gli animi umani nei tentativi, a volte vani, di ristabilire equilibri persi.
Il film del regista e sceneggiatore Christian Vincent, che nel 2012 aveva firmato il più leggero La cuoca del presidente, ha vinto i premi come miglior sceneggiatura a Venezia nel 2015 e miglior attore, grazie all’impeccabile interpretazione di Fabrice Luchini nel personaggio del giudice Xavier Racine. Luchini, protagonista nelle sale italiane in altre delicate e divertenti occasioni come Le donne del 6° piano (2011) e Molière in bicicletta (2013), è qui affiancato dall’attrice danese Sidse Babett Knudsen, che intensifica sempre più la delicatezza e profondità delle scene di questo film sorprendente per ciò che lascia detto tra le righe, tra le parole di umanità di persone apparentemente comuni, quasi banali.
L’umanità è ciò che emerge con forza dalla descrizione delle vite di questi personaggi che si costruisce lentamente scena dopo scena, battuta dietro battuta. Protagonista indiscusso è un giudice, presidente della Corte d’Assise di Saint-Omer, nel nord ovest della Francia. La sua figura, fin dalle prime scene, è quella di un uomo che, assorbito dal suo lavoro, conduce una vita banale, quasi squallida nel tentativo di ristabilire un ordine dopo il divorzio dalla moglie.
Una comprensione dell’umanità è ciò che lascia addosso questo film, un’inspiegabile senso di comprensione della realtà che ci circonda. Ci conduce per mano nella complessità dei sentimenti umani, della vita e della giustizia che non sempre permettono di essere spiegati e compresi nella loro profondità. Emerge un’immagine della giustizia quale tramite tra gli uomini, strumento che li mette in relazione e ne ristabilisce gli equilibri infranti una volte che le azioni umane siano intervenute a sconvolgerli.
Sorprendente e fondamentale è in particolare una scena in cui il giudice, scendendo dal suo apparente piedistallo, dal suo ruolo di meticoloso e mero tecnico dell’apparato giudiziario, si pone di fronte ai giurati quale uomo di fronte a uomini, quasi come un padre di fronte ai figli, con il desiderio di indicare loro il confine tra verità e giustizia, una giustizia fatta dagli uomini per gli uomini quindi inevitabilmente imperfetta. “Forse non sapremo mai la verità, forse non sapremo mai ciò che è realmente accaduto […] e questo voi dovete accettarlo senza sentirvi minimamente frustrati. […] Lo scopo della giustizia non è acclarare la verità, lo scopo della giustizia è riaffermare i principi della legge, ricordarci ciò che è lecito e ciò che non è lecito, e punire di conseguenza ovviamente. […] Forse la verità verrà fuori o forse no”.
La verità appare una dimensione inconoscibile. Ciò che l’uomo può fare è semplicemente applicare la giustizia per quanto possibile, limitandosi a far emergere quel margine di fattualità che si cela dietro ogni azione umana, al di là del quale si erge l’impenetrabile realtà della ragione umana.
Gli uomini appaiono in queste immagini quali esseri impenetrabili gli uni per gli altri nelle reali motivazioni che li spingono ad agire. Talmente complesso è infatti addentrarsi nelle ragioni e nella profondità delle azioni umane, che la voce del giudice sembra suggerire la necessità di accettare un apparente compromesso, il limite della giustizia umana. Ma quello che viene rivelato non è un compromesso vero e proprio, quanto il prezioso frutto di secoli di esercizio della giustizia quale bilancia che tende a riequilibrare i rapporti tra le complesse e misteriose volontà degli uomini. La complessità dell’essere umano è ancor più impersonata dal giudice stesso, scisso tra una freddezza e imperscrutabilità di fronte all’esercizio della sua professione, come il più severo dei funzionari, e la sua parallela e quasi complementare sensibilità nell’emozionarsi di fronte all’umanità e alla bellezza dei gesti e degli sguardi della donna di cui è innamorato. La delicatezza con cui ci viene raccontato il nascere di un amore e le inspiegabili sensazioni che da esso sorgono in qualsiasi età della vita illuminano la bravura del narratore nel descrivere l’impenetrabile che si cela dietro i sentimenti.
Accompagnati dalle percussioni e dalla voce mozzafiato di Claire Denamur si esce dalla sala con un senso di consolazione e tenerezza verso l’infinita capacità umana di penetrare in ciò che la rende più affascinante e imperscrutabile, come solo il cinema francese sa fare.
Alice Labor
Christian Vincent – La corte
Francia | 2015 | 98’ | drammatico
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