Madre, migrante e clandestina. La storia di Valparaiso

Un regista romano emergente, alle prese per la seconda volta con una vicenda di immigrazione e marginalità. Ma soprattutto con la figura di una giovane madre. “Valparaiso” porta a Carlo Sironi il premio per i nuovi talenti all’ultimo Festival di Locarno. Confermando la qualità e la coerenza del suo lavoro.

LA VITA CHE CAMBIA, DENTRO UN CIE
Ha la tristezza negli occhi, Rocio. Per tutto il tempo del film. Venti minuti scarni, concentrati nel contrasto tra la luce fredda dell’inverno, di una corsia di ospedale, di una prigione, e il tepore notturno di una vecchia camera in affitto: un letto, un abat-jour, una finestra, le voci dei bambini nel cortile. Poche location, poche parole, poche concessioni alla narrazione. C’è quasi solamente lei. Piccola, pallida, severa, disperatamente sola.
L’unico sorriso arriva dinanzi a un monitor, scambiando due parole vaghe con la madre, poi col fratellino. Conversazione lampo, giusto il tempo di sciogliere la malinconia in una tenerezza finita sul fondo, dimenticata. Poi la vita prende a scorrere daccapo, nell’azzurro livido del cielo, nei golf sbiaditi e nella camminata stanca, nei gesti tutti uguali e nel silenzio che pesa, come in un copione sbagliato.

Rocio, protagonista di Valparaiso, l’ultimo corto di Carlo Sironi (Roma, 1984) – che al 69esimo Festival di Locarno ha portato a casa il Premio Film und Video Untertitelung, sezione “Pardi di domani” – è un’immigrata clandestina, vent’anni, sudamericana. Vive da mesi dentro il Centro Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria, alle porte di Roma. Stavano per rispedirla a casa, ma una cartella medica ribalta l’imminente destino: Rocio è incinta di quattro mesi. Il padre? “Nessuno”. Una vita nuova arriva a sabotare la routine di quel limbo per irregolari, col tempo scandito tra le sbarre alte e le stanze un po’ ammuffite. Rocio è sola, con questo figlio per caso. E la legge non può espellerla mentre è in gravidanza, né può trattenerla dentro a un CIE. Libera, fino al parto e nei sei mesi successivi, con una vita da inventare.
Sironi svela poco o nulla di fatti e antefatti, del travaglio interiore e delle contingenze, ma lascia passare il dramma di una clandestinità perenne, di una solitudine senza variazioni. Lo lascia passare, soprattutto, dal volto di lei, straordinario, che è quello della brava Manuela Martelli. E dai silenzi lunghi, dai dettagli piccoli e potenti: i primi piani stretti, le attese mute, gli sguardi nel vuoto, i gesti meccanici al lavoro, che nascondono strati di malinconia.

Valparaiso, di Carlo Sironi

Valparaiso, di Carlo Sironi

FRA DISTANZE E SOLITUDINI
Valparaiso è un film costruito per sottrazione e per concentrazione. Fatto di assenze, di rinunce, di vuoti, di sospensioni e accelerazioni: sul piano formale e su quello dei simboli, dei nodi esistenziali.  Più si toglie, nel montaggio e nella sceneggiatura, più la densità cresce. Alla fine è una sintesi compiuta, armonicamente bilanciata. Tanto scabra quanto vera.
Rocio quel bambino non lo vuole. O forse ha solo paura. Non sa nemmeno dove andrà, che farà, di che vivrà domani. Così, subito dopo il parto, lo abbandona. Ancora una volta tutto avviene in punta di piedi, col minimo consentito di azioni e di parole. Non c’è giudizio, non c’è conflitto, non c’è la dinamica del tormento e il momento della scelta finale, non ci sono gli sguardi degli altri e i tempi lunghi del dubbio. O meglio, tutto questo arriva, come un’eco mesta, attraverso gli occhi di lei: sempre quelli, sempre spenti, appesi a una rassegnazione che le mette addosso almeno 20 anni in più.
Rocio lascia suo figlio in ospedale, appena nato. E se ne va. Ma è di nuovo nel segno della distanza, dell’abbandono e dello svuotamento che Sironi costruisce il punto di svolta del suo film e il senso dell’intera storia. Perché è spesso nella mancanza che il legame esiste, cresce, matura. Che si rivela.

Valparaiso, di Carlo Sironi

Valparaiso, di Carlo Sironi

RIPENSAMENTI
Rocio ci impiega un mese a sentire quel figlio non voluto. A diventare madre davvero. E una sera va a riprenderselo, con l’ingenuità di chi non conosce la legge ed il buonsenso. Sono passati trenta giorni e quel bambino, per lo Stato, non è più suo. Sono questi gli unici momenti in cui il ritmo si spezza, sul filo dell’emotività. Il silenzio è rotto dalla rabbia, da un momento di furia. Sentirsi perse, quando si è perso tutto davvero.
Quindi, il colpo di testa finale, per una fine che non c’è. Anche in questo caso il film tiene fede all’idea di sottrazione e sospensione. Per lo spettatore il destino di Rocio è solo da immaginare, come il destino di migliaia di altre giovani donne, uguali a lei. In fuga.

Carlo Sironi

Carlo Sironi

Prodotto da Giovanni Pompili per Kino Produzioni, scritto con Giulia Moriggi e realizzato con il contributo del Mibact –Direzione Generale per il Cinema, Valparaiso è il quinto lavoro di Sironi, che si era già misurato col tema della maternità, dell’immigrazione e della marginalità sociale nel suo Cargo (2012), in concorso anche al Festival del Cinema di Venezia, sezione “Orizzonti”. Un talento in crescita, ormai rodatissimo nella formula del corto, in cui controllo del ritmo, qualità visiva e una certa inclinazione poetica, trovano la giusta vocazione sintetica. Attesa la sua prima prova col lungometraggio: un tempo più complesso, per inseguire ancora quel desiderio di “raccontare un’atmosfera mentre si racconta una storia”.

Helga Marsala

www.kinoproduzioni.it

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

Scopri di più