Semplicità e incanto. Il film di Edoardo De Angelis
Abbatte pregiudizi e suscita una malinconia consapevole il film di Edoardo De Angelis, acclamato al 73esimo Festival del Cinema di Venezia. Una storia intima e dolorosa, in bilico perenne tra il bene e il male.
UNA FAVOLA CHE FA PAURA
Indivisibili è un titolo esplicito, esprime chiaramente una situazione che non sembra accettabile in un’epoca in cui certi fenomeni non dovrebbero esistere. Questo dubbio, su un concetto così semplice, ma così metaforicamente forte, te lo porti dietro dall’inizio alla fine del film di Edoardo De Angelis, ti perseguita nella ricerca di una soluzione.
La storia di Daisy e Viola, gemelle siamesi, ambientata in una delle zone più povere del Sud Italia, famosa per Gomorra e per il degrado umano e ambientale, è già un caso cinematografico. Il successo al 73esimo Festival del Cinema di Venezia, nell’ambito delle Giornate degli autori, la partecipazione al Toronto Film Festival nella sezione “Contemporary World Cinema” e al London Film Festival viene confermato dal pubblico nelle sale.
Il film, prodotto da Tramp Limited, in collaborazione con O’Groove, Medusa Film, Mediaset e con il supporto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, era in lizza tra i sette film candidati a rappresentare l’Italia agli Oscar.
È un film doloroso, bello come una favola che fa paura (come tutte le favole prima di Walt Disney), un’opera che porta il giovane regista italiano vicino a Xavier Dolan e ai fratelli Dardenne ma anche al David Lynch di Elephant Man. Così, uscendo dalla sala, il sentimento di malinconia profonda si mischia a un senso di orgoglio, ti viene voglia di ringraziare chi è stato capace di dimostrare tanta capacità narrativa.
TRA GIUSTO E SBAGLIATO
Lo stato di perenne conflitto fra il bene e il male, questa mancanza di equilibrio tra giusto e sbagliato vengono rappresentati dalle due sorelle siamesi e dalle loro difficoltà reali di movimento, di mancanza di autosufficienza. Così, se il primo pensiero che arriva vedendole è la soluzione meccanica, De Angelis ci guida in un percorso emotivo che ci smentisce continuamente, fino alla consapevolezza finale che dividerle vuol dire dividere una sola anima.
È un film ma è un’opera, concepita con un capace controllo artigianale, ma ispirata da una visione d’artista. Forse perché, come ci racconta De Angelis, non fu un film a folgorarlo con l’amore per le immagini ma il lavoro di Bill Viola: la videoarte conosciuta mentre era studente del liceo classico lo ha portato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Lo incontriamo e ci incanta con la sua storia creativa e la sua immagine sicura di chi crea immagini con archetipi precisi, come Cabiria o Gelsomina di Federico Fellini e individua in Emir Kusturica il suo punto di riferimento cinematografico.
Ci parla di tutto il suo lavoro come potrebbe parlare un artista, più che un regista, pur ricordandoci quanto sia importante per lui il controllo totale del film dalla produzione alla realizzazione dei costumi, il suo grande rispetto per il lavoro artigianale e il rifiuto di quello industriale. Esprime l’intelligente dolcezza che gli fa ammettere di non aver capito subito quanto funzionasse l’abito di scena che Massimo Cantini Parrini ha realizzato per le siamesi, sempre uguale ma con colori diversi: dal rosa vivo iniziale arriva a spegnersi, come il loro stato d’animo, in un rosa grigio.
ARTE E REGIA
L’immagine, per De Angelis, è lo strumento con cui ottenere la percezione artistica di dinamiche semplici. Cerca emozione, traduce questa assoluta e ineluttabile semplicità con movimenti complessi, come girare tutto in sequenza. Ci descrive quegli spazi, individuando nei luoghi, e non nelle location, i generatori di un melodramma esistenziale che è la realtà drammatica di Castel Volturno e della provincia della sua città, Caserta.
Luogo di fede affabulatoria, dove, oltre alle 70 chiese pentecostali, rifugi ambigui per extracomunitari e altri disperati, c’è la fogna che butta i resti di una campagna avvelenata in un mare che le risputa tutto addosso, come il Cristo/Detrito che appare, all’inizio del film, nella sabbia.
Sembra che tutto possa solo essere brutto in quei luoghi e allora il regista ricorre al fenomeno, come se, in quella tragedia, solo l’innaturale possa dare speranza. Per questo le sorelle siamesi non possono essere divise, perché rappresentano il miracolo, anche quello semplice del guadagno di uno spettacolo di paese.
De Angelis le ha fatte stare unite per tre mesi prima di girare, cercando un unico personaggio capace di rappresentare l’impossibile normalità. In antitesi, ma dipendenti dalla felicità dell’altra, perché l’altro siamo sempre noi: una dimostrazione da scienziato povero, lontano dal potere delle grandi case farmaceutiche ma geniale, la rappresentazione della teoria che ogni cosa esiste perché è in relazione a qualcos’altro. Un capolavoro, non solo di cinematografia.
Clara Tosi Pamphili
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