Tra poliziottesco e gag. In memoria di Tomas Milian
Un ricordo dell’attore recentemente scomparso e un’analisi della sua carriera cinematografica, così legata alla storia del Belpaese. In un ventennio cruciale come quello che unì gli Anni Sessanta agli Ottanta.
Pur essendo cubano, Tomas Milian (L’Avana, 3 marzo 1933 – Miami, 22 marzo 2017) è riuscito come pochi attori a incarnare l’Italia degli ultimi decenni nelle sue diverse sfaccettature e sfumature.
Dopo le prove d’autore come “Cuchillo” nella trilogia di western “politici” diretta da Sergio Sollima (Faccia a faccia e La resa dei conti, 1967; Corri uomo corri, 1968), uno dei punti di partenza del cinema italiano che tra gli Anni Sessanta e Settanta coniugò magicamente genere e impegno civile, poi, sempre nell’ambito dello spaghetti western, il più duro e radicale Vamos a matar, companeros (1970), il film di Sergio Corbucci che – come la leggenda vuole – i futuri terroristi rossi guardavano e apprezzavano al cinema negli anni prima di entrare in clandestinità, fino a “Chaco” ne I quattro dell’apocalisse di Lucio Fulci.
La carriera di Milian incrocia a più riprese le pieghe più oscure e scomode della storia recente del nostro Paese con uno degli atti fondativi del “poliziottesco”, quel Banditi a Milano (1968) di Carlo Lizzani che si basa su una riuscita fusione di approccio documentaristico e azione esplosiva; o ancora con il crudamente metaforico I cannibali (1970) di Liliana Cavani, oggi piuttosto sottovalutato (ma ripreso di recente – forse in maniera non troppo dichiarata – da Pablo Larrain in Post Mortem).
IL POLIZIOTTESCO E LA FAMA
È proprio il poliziottesco, che regala a Milian l’affermazione e la fama definitiva, a scavare impietosamente nel presente italiano degli Anni Settanta – tra strategia della tensione, servizi “deviati”, malavita urbana fra vecchi codici e nuove crudeltà, disagio sociale, ribellione. Nascono così titoli come Squadra volante (1974) di Stelvio Massi, Milano odia: la polizia non può sparare (1974) di Umberto Lenzi, La polizia accusa: il servizio segreto uccide (1975) di Sergio Martino. E, soprattutto, autentiche perle come Roma a mano armata (1976), Il cinico, l’infame, il violento (1977) e La banda del gobbo (1977) di Lenzi, che compongono una spietata trilogia in grado di rappresentare l’intera società in modo brutale e veritiero, spostando in avanti i confini di un neorealismo allucinato e tossico. I personaggi ribelli e malinconici dei western si trasformano in figure grottescamente disperate, isteriche e ululanti – che ben rappresentano il clima magmatico e nichilista dell’epoca, molto meglio di tante figure ben più blasonate.
VERSO IL COMICO
Gli anni successivi daranno luogo alla trasformazione in chiave comica del poliziottesco, come in Squadra Antifurto (1976), Squadra Antimafia (1979), Assassinio sul Tevere (1979), Delitto a Porta Romana (1980) e Delitto al ristorante cinese (1981), tutti di Bruno Corbucci. Con Nico Giraldi, Tomas Milian riesce a costruire – grazie all’aiuto dell’inseparabile e insostituibile Bombolo – un personaggio immortale, che distende e diluisce i commissari musoni del difficile decennio precedente in un approccio piacevolmente romanesco alla vita. Sono gli anni di gag indimenticabili, ma anche del ritorno al serioso cinema d’autore, con Identificazione di una donna (1982) di Michelangelo Antonioni.
Con Milian se ne va una figura-chiave per definire l’immaginario cinematografico dell’Italia e della sua psiche collettiva negli ultimi decenni, capace di tenere insieme in modo creativo approcci e sensibilità diversissimi.
– Christian Caliandro
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