Totò, il comico dai lineamenti tristi

Cinquant’anni fa ci lasciava il Principe Antonio De Curtis. Ci lasciava Totò, il comico più comico di tutti, in vita sottovalutato e non approvato. Il ritratto dell’attore, dell’uomo e del suo sorriso amaro. Dai film alle interviste.

Charlie Chaplin, Buster Keaton e Totò. I tre capisaldi della comicità cinematografica mondiale, senza alcuna discussione. Totò, il “nostro” Antonio De Curtis, non è stato solo un grande comico, è stato il ritratto di un Paese in cambiamento e transazione. Un uomo dai lineamenti tristi e anche cinici, che ha regalato quante più risate possibili. Un volto, un corpo, uno sguardo resi eterni dalla settima arte. A cinquant’anni dalla sua morte non mancano mostre, rassegne, riconoscimenti in ogni angolo d’Italia, eppure… quando era in vita Totò era disprezzato dalla critica e dai perbenisti. Solo in morte è stata riconosciuta la sua genialità.

UN RITRATTO

Totò era una maschera teatrale, arrivato al cinema verso i quarant’anni. Dedito alla parola, alla mimica e principalmente all’improvvisazione. I suoi ambiti di interesse erano precisi: il pubblico, la grande beffa del potere, il riso amaro delle bassezze umane. Totò conduceva una incessante ricerca di identità, nell’arte e nel privato. Non riconosciuto alla nascita dal padre e successivamente adottato, portava il titolo nobiliare di Principe. Un titolo che, come riconosceva lui stesso, non gli diede mai da mangiare. La sua non era una bellezza oggettiva, ma al suo fascino in poche resistevano. Era il “principe della risata”, era il latin lover della comicità, e il nome del suo più grande amore lo ha dato alla figlia Liliana (come Liliana Castagnola). Di certo non fu un uomo fortunato in amicizia. Secondo lui valeva il detto: il cane è il miglior amico dell’uomo. E proprio ai canili fece molte donazioni. Era solito ripetere, il buon Totò: “Amo tanto gli animali per il semplice motivo che li trovo migliori degli uomini“.

L’INTERVISTA CON ORIANA FALLACI

La felicità, signora mia, è fatta di attimi di dimenticanza”, diceva Totò a Oriana Fallaci in una delle interviste più belle della storia del cinema italiano. Di seguito una risposta dell’attore che descrive al meglio il suo essere, il suo umorismo e la sua spaventosa sincerità. “Io non rido, sorrido. E, anche quello, raramente. Sorrido a lei, per esempio, perché è una donna: non si può mica parlare a una donna con il musone. Però vede: non è esatto nemmeno dire che io sia triste: son calmo, privo di ansia. Io l’ansia non la conosco. Deve influire, in questo, il mio residuo di sangue orientale, bizantino. Non so… starei ore e ore fermo a guardare il cielo, la luna. Io amo la luna, assai più del sole. Amo la notte, le strade vuote, morte, la campagna buia, con le ombre, i fruscii, le rane che fanno qua qua, l’eleganza tetra della notte. È bella la notte: bella quanto il giorno è volgare. Il giorno… che schifo! Le automobili, gli spazzini, i camion, la luce, la gente… che schifo! Io amo tutto ciò che è scuro, tranquillo, senza rumore. La risata fa rumore. Come il giorno”.

I TRE INDIMENTICABILI

Guardie e ladri (1951) di Mario Monicelli e Steno. Le persone sorridono eppure è il “dopoguerra”. Uno dei migliori film con interprete Totò. Una pellicola che descrive in modo disincantato e quasi patetico l’Italia della ricostruzione. Dall’inseguimento tra guardia e ladro alle scenette familiari con Ave Ninchi. Totò insignito del titolo di miglior attore e la sceneggiatura di Flaiano, Steno, Monicelli, Fabrizi e Brancati è premiata come la migliore al Festival di Cannes.
Totò, Peppino e la… malafemmina (1956) di Camillo Mastrocinque. Un cult movie del tempo passato. Al limite della realtà e a suon di gag. Un film ritmato da un esilarante Totò e da un forse vulnerabile Peppino. La scrittura della lettera, l’arrivo a Milano con indosso abiti da cosacchi, il colloquio col vigile. Scene che hanno fatto la storia del cinema italiano. Una coppia, quella di Totò e De Filippo, lungimirante in quanto a ironia e attualità.
Uccellacci e uccellini (1966) di Pier Paolo Pasolini. Visionario, favolistico e politico. Accanto a Totò, ormai “consacrato” anche al dramma, un giovane e curioso Ninetto Davoli.
Nel 1956, dopo una faticosa tournée teatrale, un dolore agli occhi colpisce Totò che perde la vista. Quando nel 1965 incontra Pasolini, già non vede quasi più niente. Accetta il progetto di un intellettuale, di cui aveva capito ben poco e non vede più nemmeno le ombre. A convincerlo una storia tra vita, morte e strade sperdute.

UN GENIO IN MOSTRA

Per i cinquant’anni dalla scomparsa di Totò arriva prima la Laurea ad Honorem da parte dell’Università Federico II e subito dopo una mostra insolita, itinerante, intitolata Totò genio. Una mostra che ricorda il comico nella sua Napoli. Inaugurata il 12 aprile, è curata da Alessandro Nicosia, che ha coordinato anche la direzione generale del progetto, insieme a Vincenzo Mollica. Tre i luoghi prescelti per mettere insieme i tanti tasselli di un grande mosaico che rappresenta l’arte di Totò: il Museo Civico di Castel Nuovo (Maschio Angioino), il Palazzo Reale e il Convento di San Domenico Maggiore. All’interno di questi prestigiosi spazi si snoda il percorso delle mostre nella mostra, che ripercorrono e raccontano, attraverso centinaia di documenti tra fotografie, filmati, costumi di scena, locandine, interviste, disegni, riviste e giornali d’epoca, spezzoni cinematografici e televisivi, manoscritti personali, lettere, cimeli e materiale inedito, la vita, l’arte e la grandezza del Principe Antonio de Curtis.

Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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