Tra cinema e arte. Intervista a Laurence Kardish
Di arte, di cinema e di festival. Una conversazione con Laurence Kardish, ex senior curator al MoMA di New York.
L’arte è viva; il cinema varia tra supereroi e titoli indipendenti; lo spettatore vuole scegliere dove e come vedere un film. Questo è il pensiero di Laurence Kardish, fino al 2012 curatore dell’area cinema del MoMA di New York. Quarantaquattro anni di invidiabile carriera, in cui ha organizzato più di mille tra mostre e retrospettive. Un veterano dello studio cinematografico e del movimento delle immagini, con una visione più che moderna e oggettiva della grande industria, non solo cinematografica, ma anche festivaliera. Tantissimi tra cinefili, studiosi e curiosi sono stati colpiti e hanno ammirato le sue ricerche e programmazioni. Noi abbiamo approfittato della sua presenza in Italia, in occasione della inaugurazione della 57esima Biennale di Venezia, per sapere qualcosa in più sui suoi gusti personali e conoscere il suo pensiero sulla realtà artistica di oggi.
Durante la sua carriera al MoMA ha organizzato diverse retrospettive. Quale l’ha coinvolta maggiormente e perché?
Durante i miei 44 anni al MoMA ho organizzato circa 1.000 mostre di immagini in movimento, di videoarte, che coprono tutta la storia e la cultura del cinema. Le retrospettive monografiche di cui sono maggiormente soddisfatto sono quelle che, per vari motivi, sono state le più difficili da organizzare. Tra gli omaggi che ho organizzato, sono particolarmente legato a Luis Buñuel (che una volta lavorava al MoMA), John Cassavetes, Rainer Werner Fassbinder, Roberto Rossellini, Satyajit Ray, Agnes Varda e Shirley Clarke. Sono anche orgoglioso della prima mostra africana che ho organizzato in America, della storia del cinema sovietico e della panoramica completa sul cinema propagandistico di Weimar (Germania 1919-1933).
Quale è il segreto per essere un curatore di “successo”?
Penso che un curatore di successo debba sempre essere informato sugli sviluppi estetici e tecnici di tutta l’arte e allo stesso tempo continuare a indagare il passato. Il curatore deve essere in grado di riconoscere la coerenza, l’integrità e l’originalità nel lavoro di un artista e deve rimanere sensibile alla società e alla cultura a cui questi appartiene.
Se potesse scegliere, tra gli autori contemporanei a chi dedicherebbe oggi una retrospettiva?
Due artisti contemporanei che espandono i confini del cinema e con cui sarei felice di lavorare sono Tacita Dean e Sean Baker.
A parere mio, Warnung vor einer heiligen Nutte di Rainer Werner Fassbinder e 8 e ½ di Federico Fellini sono i film che meglio descrivono l’essenza del cinema stesso. Cosa ne pensa?
Penso che entrambi i film che lei cita siano ottimi esempi dei pericoli, delle gioie, delle soddisfazioni della produzione cinematografica che richiedono all’artista (in questo caso regista) di lavorare e collaborare con gli altri. Altri due film che descrivono questo effetto sono The Bad and The Beautiful di Vincente Minnelli e Lions Love di Agnes Varda.
Quale direzione crede stia prendendo il cinema americano negli ultimi anni? E il cinema mondiale?
Il cinema americano sta prendendo sostanzialmente due direzioni. La prima è la stessa direzione del cinema mondiale, l’omogeneizzazione dei soggetti: i film di azione con supereroi. La seconda, per me il motivo per cui il film rimane un’arte, è il vero cinema indipendente in cui il regista ha una visione che non deve nulla al commercio ed è in grado, con l’aiuto di un gruppo di sostenitori, di trasformare in immagini la sua visione. Negli Usa questo supporto lo si trova in festival come il Sundance e il South by Southwest, ma anche in un numero sempre più ampio di produzioni locali e regionali, spesso senza scopo di lucro, che consentono a questo cinema indipendente di esistere e crescere. In questo caso il sostegno critico supera il commercio!
In Italia c’è una forte crisi dell’industria cinematografica, per storie e per incassi. Quale potrebbe essere il modo migliore per riavvicinare gli spettatori alla sala?
Credo che in Italia non si possa riportare il pubblico al cinema perché ci sono pochissime sale cinematografiche in cui accogliere lo spettatore. Sono stato in diversi luoghi in cui non c’è più neanche un cinema!
Il cinema non è più un luogo ben definito. Netflix, come Amazon Prime e le varie piattaforme streaming, ha portato i film, tutti, nelle case, negli uffici, per strada. Il cinema è quindi in crisi o sta cambiando solamente la sua percezione?
I servizi di streaming riducono la dimensione dell’immagine in movimento come grandezza del cinema, ma forniscono anche finanziamenti per diversi film che altrimenti non sarebbero realizzati. Penso che il piccolo schermo personale e il grande schermo sociale forniscano esperienze diverse per lo spettatore, e continueranno a coesistere perché il pubblico desidera scegliere come vedere un film. E non dimentichiamo che, oltre al cinema e allo streaming, esistono anche le gallerie!
Da fan, quale è il film della sua vita?
Ci sono alcuni film che posso vedere e rivedere più volte, e a ogni visione faccio nuove scoperte. Ciò ha tanto a che fare con la mia visione personale più che con il mio giudizio critico. E tra i miei titoli preferiti ci sono La Dolce Vita di Fellini, Berlin Alexanderplatz di Fassbinder, Some Like It Hot di Billy Wilder e Portrait of Jason di Shirley Clarke.
Il Festival di Cannes compie settant’anni. È o non è la maggiore vetrina cinematografica al mondo?
Sì, credo che Cannes sia il festival cinematografico più importante al mondo perché è veramente internazionale e comprende bene, riconosce e celebra l’arte e il commercio del cinema. La selezione dei film nelle sue varie sezioni (non si può vedere tutto!) è molto forte e sono quasi tutte prime mondiali, quindi il senso della scoperta è travolgente. Inoltre, si svolge nel sud della Francia e chi non vuole trovarsi lì, sul mare Mediterraneo, nel mese di maggio?
Quale è la giusta funzione che deve svolgere un festival, non solo di cinema?
Un buon festival presenta film che arricchiscono l’arte del cinema – e lo fa oltre, e oltre, e oltre il possibile guadagno.
Il tema della 57esima Biennale di Venezia è “Viva Arte Viva”. L’arte è viva o è solo una provocazione?
L’arte è viva, assolutamente! Sono appena tornato da Padova dove sono rimasto sorpreso dagli affreschi di Giotto. Sono stati dipinti nel 1305, credo, eppure sono così vibranti nel 2017 come qualsiasi altra arte presente alla Biennale. Quindi non credo che il titolo della Biennale sia una provocazione. Penso sia una tautologia.
– Margherita Bordino
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