La rabbia sul grande schermo, alla Mostra del Cinema di Venezia
C’è un fil rouge che accomuna molti dei film presentati alla Mostra del Cinema di Venezia: la rabbia. Cartina tornasole di una società sempre più in subbuglio, dove anche la più piccola scintilla può provocare detonazioni fragorose.
C’è una rabbia che monta, come una marea, inesorabile, nei cuori degli individui e nei gruppi sociali, nei popoli e nelle istituzioni. Questo almeno sembra essere il leitmotiv della 74. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia in cui persino un assorto musicista come Ryuichi Sakamoto, già giurato della scorsa edizione, torna in veste di attivista antinucleare come racconta Coda, documentario dedicato alla figura dell’autore delle musiche di Furyo e L’ultimo imperatore.
Diversi film, in concorso e non, trovano un comune denominatore proprio in questo sentimento antico e terribile che è la rabbia. Non quella divina del Dio di Abramo (e neppure di Giove o di Shiva), ma della creatura più forte e fragile che abiti il creato: quell’essere umano che è il padrone di un mondo divenuto sempre più sua preda e sempre meno sua dimora; un mondo che egli non sa più custodire poiché è vittima di alcune idee diventate ossessioni: il denaro, il successo, la popolarità. Perché il suo narcisismo imperante, che insieme alla paura è l’anima del commercio, è interpretato come stato di autosufficienza felice, come affermazione di un sé sempre più terrorizzato dalla propria finitezza e sempre più ossessionato dalla propria volontà di potenza.
HOMO HOMINI LUPUS
Il ritratto dell’essere umano nel secondo decennio del XXI secolo appare impietoso, specie se si pensa che i due film più pacificati (The Leisure Seeker di Paolo Virzì, in concorso, e Our Souls at Night di Ritesh Batra con Robert Redford e Jane Fonda) sono quelli dedicati a due coppie di anziani e quindi di quattro abitanti ottuagenari di un mondo che va scomparendo. L’essere umano attuale, tratteggiato nelle sale di proiezione di questa edizione, appare come un essere fragile, ormai alle prese con qualcosa di molto più grande di lui. Sarà forse che tre decenni di deideologizzazione, abbinata alla globalizzazione di commerci, consumi, ideali e stili di vita, stanno adesso esibendo il conto ed è salato. Non è il sale della saggezza ma più quel sale sulla coda che provoca un dolore e una frustrazione a spirale, da cui traspare, all’orizzonte, uno scenario di tutti contro tutti, quello stato di natura descritto come homo homini lupus dal filosofo del Seicento Thomas Hobbes. Emozioni che non lasciano via di scampo: è la rabbia del felino in gabbia, ma anche della vittima che subisce soprusi o dell’uomo giusto che assiste impotente a ingiustizie più grandi di lui. È la rabbia delle vittime che invece di trovare aiuto umano trovano i muri e le barriere di tutti i campi profughi del mondo ripresi in Human Flow da Ai Weiwei (possibile vincitore) oppure è la rabbia di Frances McDormand (possibile Coppa Volpi) e dei maestosi personaggi della storia scritta e diretta dal premio Oscar e nuova stella della drammaturgia inglese Martin McDonagh, che strappa con il suo Three Billboards Outside applausi a scena aperta e si candida per il Leone d’Oro con un film che odi amare perché è un concentrato di rabbia che funziona come una bomba a orologeria e spinge verso una catastrofe che appare come metafora di un mondo intero.
Gli fa da sponda la rabbia di Ethan Hawke in Firts Reformed di Paul Schrader. L’attore americano (possibile Coppa Volpi maschile) interpreta un giovane parroco modello alle prese con la gestione di una rabbia pronta a esplodere se innescata dalla causa ambientalista.
ISRAELE E DINTORNI
Ed è questo un altro tema molto presente in Mostra, così come sono presenti la famiglia e l’amore anziano. Ma la rabbia è più palese. Evocata già nel titolo di un altro film in concorso, l’originale e disvelante The Insult di Ziad Doueiri in cui si narra la frustrazione da accerchiamento in un Libano che accoglie tre milioni di rifugiati palestinesi e dove un insulto, eminente faccenda privata, può portare a una rivolta popolare. L’israeliano Foxtrot di Samuel Maoz, altro film in concorso, narra invece la rabbia impotente di chi perde un figlio durante quel servizio di leva obbligatorio che costringe i giovani israeliani a vivere i traumi di un conflitto che ha militarizzato le società civili in una innaturale situazione di allarme e di paura incessante, generatrici di rabbia e di odio. “Einstein diceva che la coincidenza è il modo che Dio ha di restare anonimo” sostiene il regista, che come molti colleghi connazionali sembra voler inscenare una parabola biblica nel nostro tempo. Anche grazie alla sua forza narrativa, da anni ormai il cinema israeliano attraversa una fase di grande salute, spesso registrata proprio a Venezia. E Ga agua (Longing), di Savi Gabizon, non fa eccezione. Il film è in concorso nella sezione Orizzonti e narra la storia di un rimorso, che è la rabbia contro se stessi. Un uomo che perde l’unico figlio mai voluto inizia la ricerca di un rapporto impossibile che, grazie alla tenacia e alla pazienza, si risolve in un bene superiore. Un film denso e ironico che esplora un percorso di conoscenza interiore.
DAI BLOCKBUSTER A NETFLIX
Chi invece brancola nel buio di una rabbia senza oggetto sono le figlie troppo presto lasciate a se stesse dell’apprezzato Espèce menacé diretto da Gilles Bourdos (concorso Orizzonti). Volgendo lo sguardo indietro nel tempo, Nico 1988 di Susanna Nicchiarelli (Orizzonti) narra la rabbia strutturale della madre esautorata e non della modella e cantante dei Velvet Underground icona di stile e di ribellione di un’intera generazione. Il film ha fatto da spalla all’apertura della kermesse mentre i Leoni d’Oro Jane Fonda e Robert Redford sono stati rievocati nel capolavoro di Sydney Pollack Il cavaliere elettrico, film che già nel lontano 1979 celebrava l’attivismo e la ribellione anti-corporation di un cowboy trasformato in testimonial dalla grande industria alimentare.
Da una parte, il mercato della settima arte è sempre più preda dei blockbuster proiettati nelle multisala, una forma di pensiero unico applicato al cinema che proprio in questi giorni il ministro Dario Franceschini cerca di contrastare con 30milioni di euro per il recupero delle vecchie sale (si spera d’essay). Da un’altra, il futuro del cinema si annuncia attraverso la realtà virtuale, le serie tv e il convitato di pietra Netflix: tutti presenti in Laguna, voluti da un direttore ecumenico come Alberto Barbera, che non può negare le evidenze di un mondo alle prese con la tecnologia debordante. In mezzo sta l’arte cinematografica accorsa a Venezia 74 e impegnata a descrivere una moltitudine di situazioni attuali di crisi, dove fragilità e smarrimento annunciano frustrazione e rabbia.
‒ Nicola Davide Angerame
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