La realtà virtuale sbarca sul piccolo schermo
Tema caldo e decisamente attuale, l’interattività è una questione affrontata, e sperimentata, anche in campo televisivo. Ecco qualche esempio di format giocati sul coinvolgimento di utenti e spettatori, all’insegna della “mixed reality”.
La realtà virtuale, e più in generale il tema dell’interattività, sta diventando una cosa molto seria. Mentre Alejandro Iñárritu, dopo aver vinto due premi Oscar come miglior regista, ha presentato al Festival di Cannes Carne y Arena, un’installazione in realtà virtuale sul tema dei rifugiati (visibile alla Fondazione Prada di Milano fino al prossimo gennaio); mentre gli e-sports, ovvero le gare tra giocatori di videogame, sono state promosse a vere competizioni sportive, con tanto di medagliere a partire dai Giochi Olimpici Asiatici del 2022 (e a seguire probabilmente anche nelle stesse Olimpiadi); anche in tivù si è provato a non essere da meno. La questione merita attenzione perché, nonostante in molti la continuino a dare per spacciata, la televisione rimane tuttora la più ricca e rilevante industria dell’intrattenimento che abbiamo su scala globale. E sappiamo che più soldi ci sono, maggiore è la possibilità di investire nella ricerca e nello sviluppo.
A tal proposito, recenti ricerche elaborate da Pwc hanno confermato che gli investimenti pubblicitari delle aziende e le spese dei singoli utenti continueranno a privilegiare il comparto televisivo ancora per molti anni. Il trend evidenzia infatti una crescita che rimarrà sostenuta in tutto il prossimo quinquennio, anche grazie all’arrivo recente dei servizi di streaming delle varie Netflix, Amazon, Sky ecc. Il media televisione rimane inscalfibile proprio per la sua natura democratica e onnivora. Dal cinema al giornalismo, dal reality show al documentario d’arte, non c’è spettatore che non possa trovare il suo contenuto sul piccolo schermo e non c’è argomento che un network televisivo non possa inserire all’interno di uno dei tanti canali del proprio palinsesto.
“Dalle prime puntate sembra di assistere a un grande videogame in cui si vedono i concorrenti in carne e ossa calati dentro scenari molto curati, ma anche “troppo” virtuali”.
I primi veri tentativi di sperimentazione sul fronte della realtà virtuale li ha compiuti la multinazionale Sky plc che, in sinergia con Google, ha prodotto una prima serie di contenuti originali visibili dai propri abbonati esclusivamente tramite visori VR. Ce n’è per tutti i gusti: si va dal ciclo di mini-documentari sportivi Closer, in cui l’ex calciatore David Beckham ci guida dentro una serie di manifestazioni sportive, fino a Paul McCartney: Dance Tonight, in cui abbiamo la possibilità di essere di fronte all’ex Beatles mente ci presenta le canzoni del suo ultimo album, e Giselle VR, una vera e propria pièce virtuale curata dall’English National Ballet.
Nel caso non aveste ancora un visore VR per provare questi programmi, allora potete dare un’occhiata a un paio di titoli televisivi che hanno provato a lavorare in una direzione simile. Il primo si chiama Dance Dance Dance ed è un talent show di danza, visto di recente anche in Italia sul canale pay Fox Life e ideato da quel John De Mol che vent’anni fa creò il Big Brother, in cui un gruppo di ballerini viene catapultato in un mondo di realtà aumentata che dà loro la possibilità di rimettere in scena molto fedelmente le coreografie dei più famosi videoclip degli ultimi anni.
INTERACTIVE MIXED REALITY
L’altro format invece si chiama Lost in Time ed è stato creato grazie a corposi investimenti internazionali da un gruppo di creativi norvegesi capitanati da un esperto di effetti speciali che, tra la varie cose, ha lavorato anche alla trilogia cinematografica di Matrix. Quello che ci propongono è un game show in cui tre concorrenti devono affrontare prove di abilità viaggiando nel tempo. Dalle prime puntate sembra di assistere a un grande videogame in cui si vedono i concorrenti in carne e ossa calati dentro scenari molto curati, ma anche “troppo” virtuali. Sembra uno di quei film dove pensi che gli effetti speciali siano così tanto presenti che finiscono per non farti credere più alla storia. Poi, dopo aver visto anche il making of del programma, ci si rende conto che per i giocatori, costretti a giocare quasi sempre davanti a un fondale tutto verde su cui poi è stata ricostruita l’ambientazione in computer grafica, l’esperienza deve esser stata ancora meno divertente.
Si può giocare allo stesso gioco pure da casa, tramite app per tablet e smartphone, ma anche stavolta la resa pare meno accattivante di un qualsiasi medio videogame attualmente in commercio. I creatori hanno chiamato questa nuova frontiera di intrattenimento televisivo con il termine “interactive mixed reality”. A noi è sembrata soprattutto uno strano tentativo di videogame televisivo, ancora molto migliorabile.
‒ Alessio Giaquinto
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #38
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