Venezia 74: il nono giorno è per l’arte contemporanea. Con Controfigura di Rä Di Martino

Violenza di genere, femminicidio, musical: ecco gli ingredienti di questa nona giornata di Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Ma c’è anche l’arte contemporanea, con Rä Di Martino.

Controfigura, Ra di Martino

Controfigura, Ra di Martino

Il nono giorno di Venezia 74 si apre con il film di Vivian Qu, Angels wear White. Una pellicola tutta al femminile, dalla regia alla storia e alle protagoniste, incentrata sulla violenza di genere, tema di diverse pellicole in concorso: Una famiglia, Mother!, Three billboard outside Ebbing, Missouri, The Third Murder, Sweet Country. Se si fa eccezione per il film dei Manetti Bros, i titoli sono permeati da atmosfere cupe e angoscianti, che non lasciano spiragli di speranza: Ammore e malavita è piombato sul festival al momento giusto, raccogliendo anche per questo una accoglienza fragorosa. Il film infatti è disomogeneo, con delle parti memorabili, quelle prettamente da musical, con pezzi di Povio e Aldo De Scalzi, parole di Nelson (alcune tracce sonore potrebbero diventare delle hit) e coreografie da Luca Tommassini; e delle parti lente e appesantite da un cast femminile che non funziona del tutto. Nel pomeriggio presentato per Cinema in Giardino Controfigura, lungometraggio di Rä Di Martino (Roma, 1975), artista, che con questo lavoro esordisce con un lavoro propriamente cinematografico, sulla scorta di una poetica che ha sempre guardato ai meccanismi della finzione e del set come metafora della stessa vita. L’attore Corrado Sassi, controfigura di Filippo Timi (nel film con Valeria Golino), in un ruolo ispirato al Burt Lancaster di “The Swimmer”, ha fatto una sua comparsa ieri, attraversando in boxer e di corsa il red carpet dei Manetti Bros. In Pala Biennale poi è la volta di Les bienheureux, gioiello a firma di Sofia Djama, una storia di adolescenza in Algeria: tra spinte integraliste, aperture all’occidente, e tentativi di trovare un equilibrio tra identità e progresso. Film destinato a creare polemiche, visto il contenuto di alcune scene, come il gioco sensuale che una delle giovani protagoniste fa con un tappetino da preghiera. Il piovosissimo red carpet della sera è dedicato a un altro film che guarda all’adolescenza,  Mektoub, My Love: Canto Uno, di Abdellatif Kechiche, palma d’oro per La vita di Adele, che per finire di girare la pellicola in concorso a Venezia ha dovuto vendere il premio conquistato a Cannes.

Mariagrazia Pontorno

www.labiennale.org

LA POESIA È DI CASA QUI

Angels wear White

Angels wear White

Esterno giorno, in un parco giochi situato sulla spiaggia una ragazzina fotografa con il suo smartphone una grande Marylin di cartapesta, col classico vestito bianco che si solleva al vento. Gli angeli che vestono di bianco, di cui parla il titolo, sono due bambine abusate dal preside della loro scuola, protetto da una rete di corruzione e connivenza che insabbierà le indagini. La statua, icona sexy dell’occidente e simbolo di un immaginario prettamente maschile, farà da sfondo alle vicende delle ragazzine, condividendo con una di loro il destino,  in una delle scene più poetiche finora viste in questo Festival. Nonostante alcune scelte visive molto interessanti e il coraggio di affrontare un argomento così delicato, il film risulta debole e a tratti persino povero nello sviluppo narrativo.

Sala Darsena,
Angels wear White, di Vivian Qu,
In concorso

LA VITA VERA, AL CINEMA

Mektoub, My Love

Mektoub, My Love

Al cinema va in scena la vita, al naturale, con pochi tagli ed ellissi. Le vacanze di un gruppo di giovani amici, tra bagni a mare, amori, tradimenti, invidie, il tutto raccontato con una camera a spalla morbida, in grado di farci sentire parte del gruppo, grazie anche ad inquadrature che privilegiano primi piani e dettagli. Quello di Kechiche è il tentativo di contaminare (apparentemente) il meno possibile il dipanarsi della storia, riducendo all’essenziale ciò che si intende per linguaggio e tecnica cinematografica. Si assiste così a dialoghi lunghissimi che raccontano poco, a scene di danza in discoteca di più di venti minuti, addirittura al parto di una pecora e all’agnellino zoppicante appena venuto al mondo. Tre ore esatte di istinti e vitalità che, poco a poco, condurranno lo spettatore nel vissuto dei giovani protagonisti, entrando nel ritmo della loro giornata. 

Sala Grande,
Mektoub, My Love: Canto Uno, di Abdellatif Kechiche,
in concorso

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