Margaret Atwood vince il Raymond Chandler Award del Noir in Festival
Un mondo distopico, futurista o noir, tra mistero e realtà. È il mondo che ritroviamo proposto in ogni libro firmato da Margaret Atwood: una maestra del genere. Premiata al Noir in Festival con il Raymond Chandler Award.
In genere chi racconta di cadaveri, assassini, misteri ama indagare la mente umana. Lei invece osserva la società, l’ambiente e immagina un futuro distopico. È la canadese Margaret Atwood che a Como, in occasione del Noir in Festival, riceve il Raymond Chandler Award 2017. Autrice amatissima nel suo Paese ma anche nel resto del mondo, negli ultimi anni è del tutto sotto i riflettori “mediatici” in seguito al successo della serie tratta dal suo The Handmaid’s Tale, il racconto distopico e contemporaneo per eccellenza, e forse ancora più attuale oggi, che Artribune ha raccontato nella rubrica Serial Viewer. Su questa opera dice l’autrice: “Quando il libro è uscito, è stato accolto in modo diverso a seconda del paese. In Inghilterra hanno detto: oh che bel racconto. In Canada, dove la gente è sempre un po’ nervosa, hanno detto: ma potrebbe succedere anche qui? Negli USA, coloro che si rendevano conto di cosa stessero leggendo hanno detto: quanto tempo ci resta ancora? Le persone già allora capivano che i loro paesi di appartenenza stavano prendendo quella direzione. In Europa i lettori non volevano credere che una cosa del genere potesse verificarsi negli States perché per loro l’America era ancora la terra della democrazia e della libertà e non potevano credere che avesse un lato oscuro”.
DISTOPICA O FUTURISTA?
Futurista, femminista? Non esistono aggettivi adeguati a spiegare da un lato la complessità, dall’altra la basicità dei concetti a lei cari. A lei che nelle foreste del Quebec trova ispirazione e pace. Le due linee di lettura che segue e percorre sono sempre le stesse: una apocalittica e l’altra piena di sense of humour. La natura e la salvaguardia del pianeta, l’odio nei confronti dei regimi totalitari e dei fondamentalismi religiosi di ogni dove e di ogni colore, ma anche il rispetto verso le donne non considerate superiori agli uomini, ma alla pari. Margaret Atwood arriva in Italia e fa una prima tappa a Milano dove, divisa tra gli studenti dello IULM e i lettori arrivati alla Fondazione Feltrinelli, trascorre un’intensa giornata prima di spostarsi a Como per la consegna del Raymond Chandler Award 2017, il premio italiano di maggiore prestigio che ogni anno viene assegnato ad un autore di genere narrativo-letterario noir o crime. Margaret Atwood ha fatto della fantascienza distopica la sua principale intuizione oltre che fortuna e alla consegna del Premio ringrazia così: “Io porto con me sempre la borsa e questo agli Emmy ha sollevato molte perplessità. Non bisogna portarsi la borsa agli Emmy. Ora #portolamiaborda è un hashtag su twitter”, scherza con la sala. “Ma ora il discorso vero. Buonasera e grazie per questo meraviglioso Premio dedicato a chi scrive libri neri pieni di misteri e crimini memorabili. In realtà io non sono un’autrice di gialli nel senso stretto del termine, ma scrivo del comportamento umano che come tale include tra le sue varie manifestazioni anche crimini. Perché siamo tanto affascinati dai fatti criminosi? Perché non li commetteremo mai in prima persona o perché abbiamo paura che potremmo farlo? Nei sogni o negli incubi ci ritroviamo alle prese con le cose più bizzarre. Ecco, forse scrivere gialli significa questo. Significa esplorare i nostri primari incubi”.
NON ESSERE MAI UN’ARTISTA
Se con The Handmaid’s Tale Margaret Atwood punta il dito senza pietà sul mondo maschilista occidentale, in cui le donne sono divise in precise categorie, a seconda dei ruoli assegnati dalla società, dalle “non donne” alle prostitute fino alle ancelle; con Seme di strega rilegge la shakespeariana Tempesta e crea un’opera ribelle, brillante e spassosa. Margaret Atwood è una maestra di thriller sociale, di antropologia e scrittrice della resistenza. Non è un’artista. È una narratrice della realtà sotto chiave di mondo lontano, distorto e discutibile. “Una delle cose più giuste che mi hanno detto nella vita è: non essere mai un artista. Per fortuna sono cresciuta in una casa in mezzo ai boschi e dunque non ho avuto una gran vita sociale, non sono mai stata sottoposta alla pressione sociale di un gruppo. Comunque non dovreste mai dire a uno scrittore – a un artista – cosa dovrebbe fare, perché, se glielo dite e lui (o lei) obbedisce, significa che siamo in un regime totalitario”, questo il suo pensiero (e consiglio).
– Margherita Bordino
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati