Carlo Poggioli, il costumista del film su Berlusconi
Intervista a Carlo Poggioli, responsabile dei costumi usati nell’imminente film di Paolo Sorrentino intitolato “Loro” e incentrato su Silvio Berlusconi.
Esce in questi giorni il film di Paolo Sorrentino su Silvio Berlusconi, mentre tutti hanno ancora in mente le immagini del successo di The Young Pope, un risultato che deve molto anche ai costumi, alla scelta degli abiti del protagonista, il giovane Papa Jude Law. Il costumista era Carlo Poggioli, che firma anche Loro, la pellicola su Silvio Berlusconi in uscita, in due parti, il 24 aprile e il 4 maggio. Lo abbiamo incontrato per parlare del suo rapporto con Paolo Sorrentino e del lavoro di costumista.
Come si è consolidata questa felice intesa creativa fra te e Paolo Sorrentino?
L’intesa si è costruita con il dialogo, il confronto e la disponibilità che io ho sempre riscontrato in Paolo Sorrentino nell’accogliere le mie idee e le mie proposte, pur restando io consapevole che Paolo, prima di essere regista, è anche sceneggiatore dei suoi film e di conseguenza ha le idee molto chiare su cosa vuole realizzare. Prima di cominciare a lavorare con lui, sono stato sempre un attento spettatore dei suoi film e ho sempre colto in maniera precisa le peculiarità del suo stile che lo rende unico. Sicuramente mi sono state utilissime le esperienze vissute con grandi registi come Terry Gilliam, con Gabriella Pescucci nel Barone di Munchausen, poi come costumista de I Fratelli Grimm e di Zero Theorem. Ho anche avuto la fortuna di lavorare come assistente di Maurizio Millenotti nell’ultimo film di Federico Fellini, La Voce della Luna, perché si avvicinano un po’ al mondo visionario di Paolo.
Come si evita l’effetto caricaturale in un lavoro che parla di personaggi attuali così “famosi”?
Gli eccessi non mi sono mai piaciuti. Il costume deve essere al servizio del personaggio che l’attore interpreta seguendo le indicazioni del regista, deve aiutare l’attore a calarsi nel “personaggio” evitando di condizionarlo attraverso eccessi caricaturali che non corrispondono al risultato perseguito. Compito di un costumista è anche saper valutare lo stile di recitazione di un attore e quanto già la sua fisionomia sia in grado di esprimere. Se già presenta forti connotazioni caricaturali, il costume deve tendere a un giusto equilibrio che eviti eccessi superflui, a meno che non sia precisa intenzione della regia tendere verso una dimensione grottesca o paradossale.
Certo, a volte ci si scontra con grandi attori che hanno opinioni completamente diverse sul personaggio immaginato sia dal regista che dal costumista, e in prova finale può succedere di tutto. A volte bisogna cominciare tutto da capo.
Quali tecniche segui per “avvicinarti” al personaggio?
È necessario entrare in confidenza col personaggio: mi deve essere chiaro, devo comprendere a fondo la sua psicologia e individuare gli elementi caratteriali che lo rendono unico e diverso dagli altri. Poi comincia la ricerca, la documentazione storica, la raccolta di immagini che possano ispirare per poi fare raccolta di tutte le suggestioni e covarle, nutrirle fino a concepire una nuova idea, una folgorazione che rappresenta la personale visione del costume. La pittura è sempre una grande fonte di ispirazione, a volte anche un’architettura moderna ardita che suggerisce nuove linee e forme, e poi l’osservazione su quella parte della realtà che rappresenta il diverso. La diversità allontana dal solito, dal consueto, apre nuove porte della percezione di colori e abbinamenti. I viaggi in luoghi che sfuggono alla globalizzazione sono fondamentali.
Che rapporto c’è tra la moda e il costume contemporaneo?
Abbiamo grandi esempi nel passato di come il cinema abbia influenzato la moda e viceversa.
Basti ricordare il lavoro di Adrian o di altri famosi costumisti come Edith Head che, vestendo le star nelle grandi produzioni hollywoodiane, di fatto creavano le nuove tendenze anche nella moda. I loro costumi diventavano abiti che venivano poi replicati e venduti con enorme successo commerciale nei grandi magazzini. Al pubblico femminile, anche quello più modesto, non sembrava vero poter emulare le grandi star. È noto il caso di The Women (1939), film di grande successo con la regia di George Cukor, che fece incassare agli Studios, oltre ai milioni di dollari per il successo del film, altrettanti milioni per la vendita degli abiti replicati sul modello di quelli indossati dalle attrici. Un altro caso eclatante fu quello di Breakfast at Tiffany’s (1961), interpretato da Audrey Hepburn per la quale Givenchy creò l’abito che indossava nella scena iniziale, abito diventato poi un’icona mondiale.
La collaborazione con la moda per noi costumisti è molto importante, l’apporto di grandi stilisti può solo aggiungere pregio a un film moderno. Certo, è necessario individuare lo stilista giusto, adatto al personaggio da creare e all’attore da vestire.
Nell’ultimo film di Paolo si è creata una splendida collaborazione con la casa di moda di Gai Mattiolo, che mi ha messo a disposizione la sua collezione privata di abiti dei primi anni Duemila. Quegli abiti hanno sicuramente impreziosito alcuni ruoli femminili e anche intensificato il tono inquietante di alcune scene particolari.
Hai sempre lavorato sia nel cinema che in teatro, preferisci creare costumi contemporanei o del passato?
La mia formazione si è sviluppata nell’ambito della grande sartoria Tirelli, dove ho avuto modo di collaborare con i più grandi costumisti Italiani come Piero Tosi, Gabriella Pescucci, Maurizio Millenotti, che mi hanno trasmesso la conoscenza, la competenza e la passione del costume storico, ma nello stesso momento mi hanno insegnato come andare oltre le contingenze temporali, per raccontare i caratteri e i personaggi, siano essi calati in contesti d’epoca o moderni. Nella creazione di un personaggio trovo che, se devo sviluppare un’idea nell’ambito cinematografico, faccio attenzione a curare molto i dettagli mentre nel teatro penso più a forme e colori nell’insieme.
Lavorare con Ronconi è stata una grande lezione perché, pur dovendo affrontare un testo con ambientazione d’epoca, mi ha insegnato a contaminare il costume storico con quello contemporaneo e viceversa. Anche l’esperienza con Ruggero Cappuccio è stata fondamentale per la mia carriera, sia nell’ambito del teatro di prosa che di quello lirico. Ho collaborato con Ruggero per molte opere, alcune prodotte dal Teatro alla Scala e dirette dal Maestro Riccardo Muti, che avevano sì un’impostazione tradizionale, ma sempre con contaminazioni moderne.
Quello che mi conquista e mi interessa in tutti e due i casi è una bella sceneggiatura, o un bel testo teatrale e la complessità e la psicologia dei personaggi che ne fanno parte, poco importa se appartengono al presente o al passato. La realizzazione di un costume è pur sempre un processo creativo e un contributo determinante alla narrativa generale in ogni caso.
Sei diventato da poco presidente dell’A.S.C., una associazione importante per due mestieri fondamentali del cinema.
L’A.S.C. (Associazione Italiana Scenografi Costumisti e Arredatori) nasce quaranta anni fa con l’obiettivo di sostenere, difendere e promuovere i professionisti di scenografia e costume operanti in tutti i settori del cinema, teatro, spettacoli televisivi e serie tv, opera, mostre, eventi, commerciali e spettacoli. Tra i soci tanti candidati e vincitori di premi Oscar e non solo, come Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo, Piero Tosi, Gabriella Pescucci, Milena Canonero e Maurizio Millenotti.
Di cosa vi occupate?
Ci occupiamo di corsi di formazione, di mostre importanti sul cinema come quella monografica che stiamo preparando su un grande scenografo-costumista italiano, che ha avuto un grande successo negli Stati Uniti: Ferdinando Scarfiotti, prematuramente scomparso all’età di 53 anni, autore (e vincitore dell’Oscar nel 1998 ) delle scenografie de L’ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci, di Piccolo Buddha, di Morte a Venezia di Luchino Visconti, di Scarface di Brian de Palma e tanti altri importantissimi film che hanno fatto la storia del cinema. L’A.S.C. è fra i soci fondatori della nascente European Federation for Costume and Production Design, per proteggere e promuovere gli interessi artistici, economici, morali, sociali e legali comuni a tutte le associazioni europee che aderiscono al progetto.
Grazie al vostro lavoro continuiamo a vincere premi internazionali. Cosa vorresti che accadesse per supportare le vostre grandi capacità?
Che il cinema italiano possa beneficiare degli stessi mezzi e delle stesse risorse di cui gode tanta cinematografia internazionale.
Una curiosità sul “mestiere”: pensi che un costumista debba saper cucire?
Non è fondamentale saper cucire, ma è fondamentale conoscere il taglio di un costume, conoscere i tagli che differenziano un’epoca da un’altra, conoscere il peso giusto di una stoffa e la sua composizione. Tutto questo può essere acquisito solamente dopo anni di esperienza in sartoria accanto a dei maestri dove puoi rubare “con gli occhi”. E bisogna essere bravi ladri.
‒ Clara Tosi Pamphili
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati