Favola. Il nuovo film di Sebastiano Mauri, in uscita nelle sale italiane. L’intervista

Il 25, 26, 27 giugno esce nelle sale italiane Favola, il primo film di Sebastiano Mauri. Abbiamo incontrato il regista, scrittore e artista per parlare di questo progetto e del suo rapporto con il cinema.

Ci siamo conosciuti qualche anno fa e stavi preparando una mostra a Buenos Aires e una a Milano. Poi hai iniziato a scrivere e sono stati pubblicati due tuoi libri Goditi il Problema e Il Giorno Più Felice della Mia Vita. Ora è in uscita il tuo primo film. Raccontaci questa nuova avventura.

Dopo più di vent’anni di attività, ho ormai accettato che il mio approccio al lavoro creativo ha bisogno di costanti scossoni. Appena un tema, una tecnica, un’idea si radicano abbastanza da avere sentore di routine, il mio interesse slitta verso una meta differente. Ogni nuovo capitolo, dalla pittura alla fotografia, dall’istallazione ai video d’arte, dalla scrittura al cinema, è un’opportunità d’apprendimento, un’avventura in terre esotiche, una montagna russa di sorprese. Ciò implica un costante stato d’insicurezza, o per lo meno d’allerta, e a volte puro terrore, ma mantiene vivo, almeno per me, il processo creativo. In questo caso, l’approdo al cinema è stato più un ritorno al mio primo amore. Ventenne, sono partito per New York a studiare film & tv, mi sono laureato alla New York University e sono poi rimasto lì a vivere per tredici anni, prima lavorando nel cinema, poi, gradualmente passando all’arte.

Come ti sei trovato dietro la camera? Nel lavorare al film, il tuo lavoro di artista ha inciso o ha esercitato delle influenze?

Il bello del cinema è che ha un rapporto più o meno simbiotico con tutte le altri arti. Si parte dalla scrittura, ma è una scrittura “retinica”, descrive solo ciò che è visibile (su uno schermo), con le proprie regole e i propri ritmi. C’è il lavoro con gli attori, proprio del corpo a corpo del teatro. La costruzione delle scenografie tocca architettura, interior design, costume. La musica poi è il cemento emotivo della storia, che alla fine non è altro che un racconto per immagini, come i complessi affreschi nelle antiche cattedrali. Quando arriva il momento di montare, in un certo senso si torna a scrivere, per scoprire (a volte da capo) quale storia si ha tra le mani una volta finite le riprese. Insomma, il mio lavoro d’artista e di scrittore mi è servito per ogni fase della lavorazione del film, non l’ho mai veramente percepito come un lavoro differente. Di certo si è contornati da molte più persone e molta più responsabilità, i capelli grigi che ho coltivato durante le cinque settimane di set ne sono la prova…

Favolaè tratto da uno spettacolo teatrale di Filippo Timi. Quando hai iniziato a pensare che potesse diventare un film?

L’idea di farne un film è di Filippo, mi ha chiesto se volevo scrivere con lui l’adattamento per poi dirigerlo, e grazie al coraggio degli incoscienti che ho imparato a coltivare anche grazie a lui, ho accettato. Lo spettacolo Favola è fin dal suo concepimento legato a doppio filo con il cinema. Il mondo immaginario in cui si muovono i nostri personaggi è ricostruito partendo dai grandi film americani dell’età d’oro di Hollywood. I costumi, le acconciature, il trucco, ma anche le luci, le scenografie, le musiche, persino le voci dei personaggi si rifanno a quel cinema. In un certo senso, portarlo sul grande schermo è stato un po’ come riportarlo al suo ambiente naturale, o per lo meno all’ambiente da cui attingeva e cui anelava.

Al suo ambiente naturale?

A teatro, Favola reggeva molto sull’improvvisazione, l’esagerazione quasi kabuki dei movimenti e delle espressioni, sui lunghi monologhi, tutti elementi che per il cinema era necessario ridimensionare. Basti pensare alle dimensioni di un volto in primo piano proiettato su uno schermo cinematografico versus il corpo intero di un attore lontano sul palco, per comprendere che si tratta di tutt’altro tipo di comunicazione. Lucia Mascino, che interpreta Mrs Emerald, la bella, elegante e perbenista migliore amica di Mrs Fairytale, la nostra protagonista interpretata da Filippo Timi, viveva con lei sul palco dei momenti di pura, folle astrazione. Questa astrazione andava tradotta, senza perderne la follia.

E come?

Sono convinto che per tradurre sia necessario tradire, se si vuole essere fedeli allo spirito dell’opera originale. E così hanno preso corpo due personaggi che a teatro erano sempre fuori scena. La temibile Mother, una magnifica Piera degli Esposti, e il violento marito-padrone, un glaciale Sergio Albelli. Inoltre, al cinema, siamo sfuggiti all’unità di luogo e di tempo che contraddistingue lo spettacolo per proiettarci all’esterno, nel futuro, in una catartica soluzione alla storia.

Dicevi prima che hai studiato cinema a New York. Per il tuo primo film ti sei ispirato in qualche modo al cinema americano oppure no?

Il cinema hollywoodiano degli anni cinquanta è la linfa vitale di Favola, il suo rimedio all’horror vacui che accompagna la nostra protagonista, Mrs Fairytale. Lei combatte la monotonia della sua dorata vita casalinga grazie alle visite dei suoi vicini, tre baldanzosi gemelli interpretati da un camaleontico Luca Santagostino, i tè corretti al whisky con la sua amica Mrs Emerald, e tanto cinema che si frappone tra lei e la sua banale quotidianità. I riferimenti ai melodrammi di Douglas Sirke ai gialli di Hitchcock sono evidenti, si può fare una caccia al tesoro di citazioni cinematografiche durante la visione di Favola, ma è un cinema (e un mondo) osservato dal di fuori, ingenuamente abbracciato dall’indomita immaginazione di Mrs Fairytale, che lo rende esotico, esagerato e persino impossibile.

Qual è il tuo film preferito? E quale l’attore o l’attrice?

Quando mi si chiede di scegliere il mio preferito tra film, libri, album, città o antipasti, entro subito in crisi. Sento di tradire tante, troppe alternative, ma fingerò di esservi costretto, pistola alla tempia. Nel mio personale Olimpo metterei il cinema di Wes Anderson, Aki Kaurismaki, Fassbinder, Almodóvar, Scorsese, Garrone, per citarne alcuni, ma forse il film che mi ha più affascinato la prima volta che l’ho visto e che ha poi continuato a influenzare i miei gusti negli anni, è di Fellini. Per quel che riguarda il mio attore preferito passato a miglior vita, direi Philip Seymour Hoffman. Vivente, Cate Blanchett.

Favola è un film “surreale”. Come pensi verrà letto e accolto dal pubblico italiano?

Il film è surreale perché gioca con i paradossi e usa la fantasia come via di fuga da una realtà troppo sordida, ma il velo di Maya che avvolge la storia, una volta rimosso, rivela una soluzione inaspettata per la nascita di una meravigliosa e concreta famiglia arcobaleno. Al pubblico italiano offriamo una storia universale di libertà, amore e affermazione di sé, come lo leggerà, lo scopriremo presto.

Arianna Rosica

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Arianna Rosica

Arianna Rosica

 Curatrice e critica d’arte. Attualmente insegna tecniche della comunicazione allo ISIA di Pescara. Ha fatto parte del team curatoriale del Madre – museo d’arte contemporanea Donnaregina di Napoli. È stata responsabile dei progetti speciali di Artribune e co-direttore del MACTE…

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