L’esordio italiano dell’anno: “La terra dell’abbastanza” tra Calvino e Pasolini

Da colpo di fortuna a tragedia, un esordio sorprendete e che regalerà tante soddisfazioni al cinema italiano dei prossimi anni. I Fratelli D’Innocenzo arrivano in sala con un crime ma sono già pronti al prossimo film, un western.

Disegno, poesia e fotografia. I Fratelli D’Innocenzo (Damiano e Fabio) scelgono il cinema. Al loro esordio sul grande schermo presentano un crime di periferia dal titolo La terra dell’abbastanza. Il film, in sala dal 7 giugno con Adler, è stato presentato nella sezione Panorama alla scorsa Berlinale. Da subito ha avuto un’interessante accoglienza: sono nati due nuovi autori, questo è certo. Rubando un po’ da Pasolini, da Zavattini e da Paisàdi Rossellini, i Fratelli D’Innocenzo hanno colto al meglio ciò di cui ha bisogno adesso il cinema e in particolare quello italiano. Se Claudio Caligari con Non essere cattivoha scosso un po’ gli animi del settore, questi due ragazzi sono riusciti a non essere banali, ripetitivi e monocorde. Il loro è un film ambientato in periferia, ma quello che mostra senza giudizio è l’inferno dei viventi.

UN ESORDIO PASOLINIANO

È notte fonda e due amici fraterni, Mirco (Matteo Olivetti) e Manolo (Andrea Carpenzano), scorrazzano per le strade delle periferie romane, precisamente zona Ponte di Nona. Sono allegri, scherzano sul futuro e sognano. Una botta improvvisa cambia per sempre le loro vite. Senza neanche accorgersene investono un boss della zona, ma terrorizzati scappano in cerca di aiuto e si rivolgono al padre di Manolo. È lui ad avere il “colpo di genio”: non è un incidente, è questione di fortuna secondo lui. Questo omicidio involontario può diventare per loro l’ascesa, il riscatto sociale, il potere. È qui che le vite spensierate e goliardiche dei due amici mutano. Fanno un passo in avanti, verso il male, senza possibilità di tornare indietro. Senza spoiler o ulteriori spiegazioni… sì, Pasolini avrebbe molto apprezzato La terra dell’abbastanzae il motivo è semplice. Siamo in periferia, una qualsiasi periferia; i protagonisti sono due giovani in cerca del loro posto nel mondo; la loro è una vita segnata sin dalla loro nascita; tutti, oltre i due protagonisti, non sono consapevoli di quello che fanno e che accade, vivono la “loro” normalità anche se giusta non è.

L’INFERNO DEI VIVENTI

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. È con questa citazione tratta da Le città invisibilidi Italo Calvinoche i Fratelli D’Innocenzo spiegano alla perfezione cosa hanno voluto raccontare: la vita. I loro sono personaggi che vivono, sbagliano ma vivono. Soffrono, sono affaticati, senza via di fuga, portati all’estremo da frasi dette e non dette. Sono alla ricerca di “quell’abbastanza” che boh, forse non esiste. Questo concetto è perfettamente espresso da due personaggi, il padre di Manolo (Max Tortora) e la madre di Mirco (Milena Mancini). Entrambi sanno che i loro figli sono nei guai, sanno che stanno compiendo un passo falso ma non fanno nulla per evitarlo. Il primo li spinge nell’errore, la seconda soffre ma resta inerme nel suo silenzioso dolore. La tragedia diventa colpo di fortuna, ma per volere della ciclicità della vita non può che tornare a tragedia.

 Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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