75. Festival del Cinema di Venezia. Il diario del terzo giorno in Laguna
Al Lido arrivano il film inedito di Orson Welles e piogge torrenziali. Lady Gaga evita l’ombrello e le proiezioni vanno avanti puntuali, ma l’atmosfera di festa è rovinata dall’acqua
Il meteo annuncia pioggia, rovesci, tempeste per il week-end veneziano, un vero incubo per chi indossa scarpe aperte e passa da una sala all’altra con vestiti umidi che l’aria condizionata non contribuisce ad asciugare. Il disagio degli accreditati è però poca cosa rispetto alla ricaduta che l’acqua ha sul glamour del Lido. Il maltempo è infatti il killer del red carpet, specie se in serata è attesa Lady Gaga, protagonista di A Star is Born, film diretto da Bradley Cooper.
ROMA DI ALFONSO CUARON
La mattina al Pala Biennale si proietta Roma, di Alfonso Cuaron. Il racconto del massacro del Corpus Christi, repressione operata dal governo messicano nel 1971, dal punto di vista di Cleo, mite donna indigena a servizio di una famiglia borghese nel quartiere di Colonia Roma. Il film è volutamente e dichiaratamente autobiografico: nella pellicola che definisce come la sfida della sua vita, Cuaron ha chiamato a raccolta tutti i suoi ricordi di infanzia, ricostruendo in maniera maniacale non solo gli ambienti della sua casa (con autentici mobili di famiglia) ma persino il negozio dalla cui finestra Cleo osserva la rivolta dei giovani studenti, scena memorabile e dalla potente simbologia. Nel pieno degli scontri sullo schermo, ecco che fuori dalla sala scoppia il temporale, e con il vicino ci si chiede a bassa voce se il rumore sia quello dei tuoni o dei fucili in dolby-surround.
ORSON WELLES A POSTERIORI
Conversazione sotto la pioggia, in fila per Palazzo del Cinema:
– “Cosa danno in Sala Grande?”
– “L’ultimo film di Orson Welles”
– “Ah, sezione Classici restaurati?”
– “No, no, proprio l’ultimo film, lo ha girato ma non ha fatto in tempo a montarlo, si intitola ‘The Other Side of the Wind’”.
A Venezia 75. capita anche questo, di vedere film in provetta, girati 40 anni prima e dati alla luce adesso, con risultati di cui si potrebbe dibattere per ore. In Sala Grande è prevista la cerimonia del Premio Campari Rosso, assegnato a Bob Murawski, il montatore di The Other Side of the Wind, colui che di fatto ne ha compiuto la seconda regia. Murawski è un premio Oscar, miglior montaggio per The Hurt Locker, di Kathryn Bigelow, e nella sua carriera vanta la presenza in importanti produzioni: da Spider-Man a Ben Hur. Ma basta questo per montare un film di Orson Welles? Considerando che il regista viveva e respirava in sala di montaggio? Barbera consegna a Murawski il Premio Campari Rosso, cioè uno shaker rosso in resina (o forse vetro?) che fa rimpiangere la leggendaria ed elegante insegna Campari che accoglieva in lontananza chi era diretto al Lido. Si passa alla proiezione. Fa un certo effetto vedere sui titoli di testa il nome di Orson Welles e sapere di assistere ad un inedito. La sinossi del film ne ricalca le reali vicissitudini produttive, e c’è da chiedersi se questo non sia stato una specie di scherzo ordito da Welles, visto che la storia è quella di un regista, J. Hannaford, interpretato in maniera molto convincente da John Huston, che non riesce a completare un suo film perché l’attore protagonista è fuggito via. Decide così di dare una grande festa a cui presenziano amici, attori, nani e ballerine per proiettare il film incompiuto. Già questi elementi avvicinano in maniera impressionante la realtà alla finzione scenica – Welles produsse dal 1970 al 1975 circa 100 ore di girato – e Hannaford, con le sue brillanti riflessioni su cinema e vita (sarebbe bellissimo trascriverle, perché la sceneggiatura serrata è un tesoro di pensiero) – è di fatto, con tanto di sigaro, l’alter ego del regista. Si aggiunge poi un ulteriore elemento metalinguistico: Hannaford chiede ai suoi ospiti di riprenderlo durante la festa. Quindi ciò a cui assistiamo è: da una parte il film incompiuto di Hannaford, muto e a colori; dall’altra la soggettiva di ogni ospite filtrata dalla sua cinepresa: da qui i diversi formati, 16 mm, super 8; e i diversi stili, zoom ottici, camera a mano, ecc. come a significare che lo sguardo di ognuno è portatore di uno specifico linguaggio visivo. Modernissimo. Di certo questo non è il film di Welles, ma è un documento interessante che aggiunge nuovi materiali al discorso su una delle figure più importanti del cinema. All’uscita dalla sala non piove più, e si approfitta della tregua per raggiungere i vaporetti del Casinò. Anche il cielo oggi somiglia ad un film di Welles.
– Mariagrazia Pontorno
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