Intervista ad Alessio Lapice, Romolo in “Il primo re”. Il fascino di una civiltà sconosciuta
La leggenda di Romolo e Remo arriva sul grande schermo con i volti di Alessio Lapice e Alessandro Borghi. Il film “Il primo re” esce nelle sale cinematografiche con 01 Distri-bution dal 31 gennaio. Un film, ma anche un evento per il panorama italiano, molto atteso. Una storia divisa tra amore, duelli e fango
Non c’è cosa più bella di un attore in preda all’entusiasmo per il lavoro svolto. Alessio Lapice ha questo stato d’animo durante la nostra chiacchierata. Suo è il ruolo di Romolo in Il primo re di Matteo Rovere, un film che vede molti impazienti per l’uscita al cinema. Si tratta della leggenda da cui nascerà Roma, il più grande impero che la storia ricordi. Un film visivo, fisico e basato su un legame fortissimo tra due fratelli. Il racconto di Alessio Lapice.
Dalla storia di due fratelli in Nato a Casal di Principe ad altri due fratelli. Un passaggio anche da una storia reale a un mito. Cosa aspettarci da Il primo re: film più fisico o più emotivo?
Entrambe le cose, anche se predomina l’amore tra questi due fratelli. C’è molto effetto visivo in questo film, anche spettacolarizzato, ma la cosa che più si vive e percepisce è questo amore, il loro aggrapparsi alla sopravvivenza. Entrambi, Romolo e Remo, hanno un obiettivo comune ma vivono la resistenza e la sopravvivenza in due modi diversi. L’aspetto fisico, come quello visivo, c’è ed è molto presente ma la sintesi di tutto è il legame tra questi due fratelli. È uno spettacolare crudo, un po’ alla Revenant!
Come sono questi fratelli?
Io sono il più pio, religioso, ma questi due fratelli non sono molto diversi. Vivono in modo differente la situazione in cui si trovano. È una condizione umana in cui entrambi si modificano. È tutto un binomio tra questo grande affetto e le scelte da fare. L’uno è la spalla dell’altro, lo sguardo dell’altro. Credo che la storia di Romolo e Remo sia in un certo senso il prequel del genere umano, o meglio… del passaggio dall’animale all’uomo.
E cosa mi dici del percorso che compiono insieme?
Siamo nel 753 a.C. e questo viaggio di Romolo e Remo non è molto diverso da situazioni attuali, che si vivono oggi. Per loro anche un giorno di sole fa la differenza! Un giorno di sole è un giorno in più di vita. Romolo e Remo vivono una quotidiana precarietà. Precarietà economica, sociale e di affetto. Anche il loro amore è infatti precario, forte ma anche fragile perché è in continuo pericolo. Questi due fratelli non hanno nulla, neanche una terra da calpestare. È stata una vera esperienza girare questo film. Siamo dovuti entrare in contatto con la natura, o meglio… con quello che l’uomo era prima che si civilizzasse.
Non è un film molto parlato, ma sicuramente visivo ed estetico. Come ti sei preparato a questo personaggio “estemporaneo”?
Non è molto parlato in quanto ogni cosa che dicono i personaggi è strettamente necessaria. Il necessario per loro è la vita. Io ho fatto uno studio antropologico di quello che poteva essere un essere umano di quei tempi. Dico poteva in quanto ovviamente tutto quello che è disponibile in rete è riguardante una leggenda, un mito. Tutti conosciamo la leggenda della Lupa ma oltre a questo non ci sono dei riferimenti precisi. Non avere dei riferimenti precisi mi ha permesso però di creare e di riflettere di più. Il mio è un personaggio che sta molto in contatto con la natura, e quindi ho cercato di fare lo stesso. Un lavoro importante l’ho fatto sul fisico inteso come il modo di camminare, di muovere la mascella, anche la postura da tenere. Acqua, terra, fuoco e aria sono gli elementi che vive Romolo, un uomo accomunato all’oggi da questo amore universale e che non ha tempo.
E con il latino arcaico, come è andata?
Con il latino non è stato semplice. Significava rapportarmi con una nuova lingua. Un modo di parlare diverso, in cui alcune parole ti costringono a usare la mimica del vivo in maniera diversa. All’inizio mi sembrava assurdo, irrealizzabile poi ho notato che era diventata una cosa più semplice, conosciuta, organica. Con Matteo Rovere e Alessandro Borghi abbiamo fatto un mese intenso di prove e non solo sulla lingua ma anche sulle azioni da compiere, come l’uso della spada. Era importante a imparare a usare corpo e mente da uomo di quei tempi!
Il primo re è un film per molti aspetti insolito nel nostro Paese. Un set che credo sia stato una vera esperienza…
(Alessio in un vortice di entusiasmo). Abbiamo girato tutto a cielo aperto con la luce più naturale possibile, in posti assurdi. Paludi, fango, freddo, pioggia vera, corde, cavi, lanci, apnea sottacqua. Abbiamo combattuto con le spade in lega di metallo vero. Nei combattimenti le spade facevano le scintille! Sono successe una marea di cose incredibili. Abbiamo girato quasi sempre senza i camper perché eravamo in luoghi estremi. Facevamo quattro ore di trucco al mattino. Tutto era immerso nella natura. Quando sono rientrato a casa nella civiltà (ridendo) e mi sono seduto a tavola con posate, tovagliolo, tovaglia ero quasi stranito. Il primo re è stato un vero regalo per me come attore. È tutto quello che sognavo quando ho iniziato questo mestiere: il creare.
Un consiglio per gli spettatori: come prepararsi alla visione di Il primo re?
È un film molto lontano da noi, un film che non siamo abituati a vedere perché è una cosa nuova, quasi sperimentale. Lo spettatore che si siede e lo vede sarà un attimo spiazzato. Dovrà capire cosa si trova davanti. Il mio consiglio potrebbe essere quello di sedersi e lasciarsi andare, lasciarsi trascinare da questa storia. È un film che in più momenti pone davanti l’interrogativo: e ora che succede? È fondamentale quindi lasciarsi guidare da questa storia, da questa civiltà che a noi è sconosciuta e per questo anche molto più accattivante.
– Margherita Bordino
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